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La svolta di Marine Le Pen. Souverainisme adieu, vive l’ecologie

Da quanto trapela dall’entourage della leader della destra francese, sembra che si stia organizzando per dare l’addio ai vecchi cliché e modellare il suo movimento su basi nuove. Gennaro Malgieri spiega come

Nella sua ultima apparizione televisiva, qualche giorno fa, Marine Le Pen candidamente ha detto: “Io penso che vincerò le elezioni presidenziali, ed è la mia responsabilità a rassicurare i francesi. Su di me hanno sentito molte cose false e caricaturali. Mi resta un anno per far capire il mio progetto che non è solo ragionevole ma ridarà senso alla politica”. Quale progetto? Uno nuovo, si presume. E da quanto trapela dall’entourage della leader della destra francese, sembra proprio che si stia organizzando per dare l’addio ai vecchi cliché e modellare il suo movimento su basi nuove, consapevole che il radicalismo del passato le impedisce di allargare la base elettorale sbarrandole la possibilità di costruire inedite alleanze.

Nelle parole che di recente pronuncia, e soprattutto negli atteggiamenti politici che assume, c’è il senso di ciò che la leader del Rassemblement National sta approntando per presentarsi alla sfida decisiva per l’Eliseo contro Emmanuel Macron.
All’insegna della “discontinuità”, sembra che la Le Pen stia “ristrutturando” la sua immagine politica e prendendo atto di quanto accade in Europa abbia intenzione di trasformare il Rassemblement national in un movimento “consapevolmente nazionalista” che intende marcare il distacco dal sovranismo sterile, un po’ come ha fatto Matteo Salvini in Italia, per interloquire con ambienti diversi, ma non lontani politicamente, che hanno il suo stesso problema di ridefinirsi. A cominciare dai Républicains, gli ex-gollisti guidati da Christian Jacob, succeduto a Laurent Wasquez dopo la catastrofe elettorale del 2019. Jacob aspira ad avere un ruolo non subalterno nella politica francese e a condizionare le presidenziali del prossimo anno alle quali Macron arriverà certamente spompato.

Il nuovo leader della destra moderata è stato tre volte ministro ed è un “allievo” di Jacques Chirac: il realismo ed il buonsenso che lo ispirano sembra stiano favorendo un maggiore dialogo nel partito, la cui identità continua ad essere “di destra, aperta e popolare”. Su queste basi la “solitudine” dei Fillon, Juppé e del politicamente finito Sarkozy appare lontana decenni, invece ha segnato fino a ieri il percorso del partito che affondava le sue radici nella dottrina e nel l’esempio del Generale.

In molti si chiedono perché i contigui elettorati della Le Pen e di Jacob non formino un’alleanza sia pure occasionale e contingente in vista delle presidenziali: il solo modo per mettere fuori gioco Macron e sbarrare il passo ad una sinistra che non potrebbe giocare la partita consueta al ballottaggio.
La Le Pen potrebbe avere interesse a stabilire buoni rapporti, come fanno ritenere le sue recenti apparizioni televisive e le dichiarazioni giornalistiche, con il partito repubblicano post-gollista. Alcune iniziative fanno intendere che per arrivare a tale scopo abbia bisogno di rivestirsi a nuovo.

Tanto per cominciare la Le Pen ha proposto un referendum sull’ecologia, anzi un contro-referendum, dal momento che anche Macron ha intenzione di proporne uno per “costituzionalizzare” il “verdismo” e sottrarre consensi agli ambientalisti di sinistra che nelle ultime tornate elettorali hanno ottenuto lusinghieri risultati. La pandemia “aiuta” chi si colloca decisamente sul piano ambientalista posto che è il problema dei problemi e, non a caso, le menti migliori della destra francese collegano il coronavirus al disfacimento ecologico planetario.

La convinzione che sull’ambiente si giocherà una battaglia decisiva in vista del 2022 comincia ad essere radicata in Francia.
Il progetto eco-compatibile e sostenibile del lepenismo, come è stato definito, ha mandato in soffitta l’istero antieuropeismo della bionda signora, la quale punta, con successo crescente, su un’ecologia “paysanne”, popolare e populista, contro l’eolico.

Per la Le Pen il progetto macronista di “protezione dell’ambiente e della diversità biologica dei cambiamenti climatici” sono soltanto parole vuote. Lei contrattacca con decisione rivolgendosi ai francesi: volete che tutti i prodotti alimentari siano etichettati in modo dettagliato? La Francia deve continuare a investire nel nucleare, la sola energia libera dall’inquinante carbone? Siete favorevoli a limitare la costruzione di nuovo giganteschi supermercati e a favorire i mercati di prossimità? E via di questo passo. La Le Pen vuol dire che ha la ferma intenzione di tutelare la piccola economia, opponendosi al globalismo, innescando una dura polemica contro i distruttori dell’economia agricola francese, e sostenendo le piccole e medie imprese. Sposa sostanzialmente la causa di una grande e significativa parte dell’opinione pubblica che dichiara di sentirsi “isolata” e di non appartenere a nessuna comunità, nemmeno quella nazionale: “Ecco, il mio obiettivo è di rassicurare questi francesi. E faccio mio lo slogan dei tifosi del Liverpool: non camminerete mai soli”, ha detto, tirando nel suo discorso il riferimento suggestivo alla famosa e struggente canzone intonata prima di ogni macht: You’ll never walk alone.

La svolta ambientalista del Rassemblement national ha caratterizzato la campagna elettorale per le europee facendo eleggere a Strasburgo Hervé Juvin, un uomo d’affari, autore di saggi intriganti su sensualità e desiderio (in Italia Egea ha pubblicato il “Trionfo del corpo”) teorico dell’ “ecologia identitaria”. È il vero ispiratore della svolta lepenista. Ha pubblicato saggi da Gallimard nella collana diretta da Marcel Gauchet e Pierre Nora, tra i quali La grande separazione: per una ecologia di civiltà, un testo nel quel difende l’identità nazionale ed europea prefigurando quello che sarebbe stato il suo destino politico. Notevole anche il volume L’Occidente globalizzato: controversia sulla cultura planetaria scritto in collaborazione con Gilles Lipovetsky. Dal settembre 2017 collabora permanentemente con la rivista Élemènts di Alain de Benoist per la quale scrive una rubrica intitolata “L’ecologia delle civiltà”.

La svolta nazional-ecologista della Le Pen ed il suo per ora timido appeasement con la componente più di destra dei Républicains, ha prodotto effetti che preoccupano non poco Macron. Infatti, i sondaggi certificano che è passata dal 23,3% delle europee al 27%, mentre alle presidenziali del 2017 aveva preso al primo turno il 21,3%. Macron dato al 24% avrebbe la stessa percentuale delle presidenziali, crescendo rispetto alle europee e dunque ottenendo il 22,4%. Cinque punti di differenza: non sono pochi.

Nella prospettiva del ballottaggio l’anno venturo Marine Le Pen potrebbe avere più chance rispetto al 2017, quando nel testa a testa Macron vinse con il 66% intercettando i voti anche dei Repubblicani, cosa che adesso non appare più così scontata.
La popolarità del Presidente infatti è in forte calo, e l’attacco al Covid non sembra aver dato i risultati politici sperati. La Le Pen, insomma, rendendosi conto che l’Europa sovranista disegnata qualche anno fa, contemplante anche l’uscita dall’euro, è poco meno di una barzelletta, ha rivisto, senza rinnegare il suo nazionalismo le idee che ne avevano fatto la fortuna da un lato, mentre dall’altro le avevano impedito di riuscire a superare i traguardi più ambiziosi. Si spiega così la conversione non verso il centrismo, come va dicendo suo padre, il vecchio Jean Marie Le Pen, ma la ricerca di un dialogo con forze che potrebbero apprezzarne la buona volontà nel contribuire a spodestare Macron e mandarlo a casa con i suoi fallimenti.

L’ obiettivo che avrebbe dovuto essere quello di attrarre buona parte degli elettori Républicains scontenti e frastornati dalla dirigenza del loro partito, insieme con gli ex-gollisti di Dupont-Aignan che le avevano promesso l’appoggio alle presidenziali e che poi in gran parte non le hanno dato, potrebbe dunque sortire qualche effetto positivo. Ma, si dice a Parigi, che anche l’avvicinamento ad una parte di elettorato gauchista proprio per la critica al mondialismo ed il ritrovato ecologismo, non sarebbe impossibile.

L’obiettivo sarebbe quello di riunire, innanzitutto culturalmente, tutte le destre francesi cercando un  minimo comun denominatore in grado di farle convivere, al di là dei retaggi storici che si portano appresso dalla fine della Seconda guerra mondiale e, in verità, anche da prima. Avrebbe bisogno a tal fine di un fronte intellettuale di sostegno, sempre restio – e non certo per colpa sua – a sporcarsi le mani con la politica. Un Jacqués Attali di destra, insomma, che la Le Pen avrebbe potuto trovare anni fa se soltanto le reciproche diffidenze tra il Front national prima ed il Rassemblement poi ed il mondo intellettuale che poteva essere il suo naturale riferimento, non si fossero orgogliosamente e stupidamente rinnovate. Già aver Juvin come consigliere, comunque, non è male.

Il malessere della Francia profonda ancora una volta potrebbe capovolgere i destini del Paese. E Marine Le Pen che dopo le elezioni europee sembrava fuori gioco, potrebbe avere l’opportunità di tradurlo in consensi senza premere l’acceleratore sulla paura, ma piuttosto sulle energie positive di una nazione che ha bisogno di una politica nazionalista critica dell’Unione europea – visto anche lo scacco che sta subendo sulla vicenda della lotta alla pandemia – ma aperta alle istanze di una sua inevitabile riforma.

Qualcosa comunque, a parte la svolta lepenista, a destra si muove. Nella destra delle idee, beninteso. L’uscita di una nuova rivista trimestrale “Le Nouveau Conservateur” ideata a diretta da Paul-Marie Couteaux e da Jean-Frédéric Poisson, per esempio. Entrambi sovranisti, entrambi nazionalisti, entrambi conservatori. La rivista ambisce a rappresentare l’unione di tutte le destre. E mentre la sinistra, come dice lo storico Marcel Gauchet, “si mostra incapace di pensare una società differente” e di “immaginare un futuro”, a destra si continuano invece a produrre idee. Su “Valeurs actuel” Couteaux ha dichiarato che il progetto l’ha avuto in mente da molto tempo. Il giornale scrive: “Dopo una lunga carriera politica al fianco di personaggi famosi come Philippe Séguin o Jean-Pierre Chevènement, Coûteaux sembra essere alla ricerca di nuovi orizzonti”. Secondo i promotori di “ Le Nouveau Conservateur”, “Lo spirito conservatore deve riconciliare la destra con se stessa e i francesi con la loro essenza. È questo il progetto di una rivista che solleciterà intellettuali, politici ed esponenti di orizzonti diversi. Questa grande riforma intellettuale e morale è indispensabile per risollevare lo Stato, la nazione, la civiltà francese”. L’obiettivo è culturale, ma c’è chi dice che i due animatori del neo-conservatorismo francese vorrebbero dal vita ad un partito politico. L’eredità e la memoria di Charles Maurras non sono state seppellite.

Nel primo numero, uscito alla fine dello scorso agosto, c’è anche la firma di Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen, insieme con quelle di Eric Zemmour. E va ad affiancarsi ad altri magazine del neo-nazionalismo francese come L’Incorrect, Causeur, Valeurs Actuelles. La destra francese ha capito più della sinistra che la prima battaglia da vincere è quella culturale.
E lo ha capito anche Michel Onfray, il filosofo iconoclasta che ha inventato un’altra rivista di opposizione, “Front Populaire”. Nel sommario del trimestrale che aspira a diventare “il portavoce di tutte le sensibilità del sovranismo”, come si legge nella presentazione, figurano un confronto appassionante tra un sovranista di sinistra come Jean-Pierre Chevènement e uno di destra come Philippe De Villiers, entrambi formulano un j’accuse contro i profeti del mondialismo della demografa Michèle Tribalat e una riflessione dell’intellettuale laica Céline Pina sulle banlieue multietniche, lì dove la République è in ritirata e l’islam politico è largamente egemone. I suoi ex compagni hanno già bollato Onfray come il nuovo portabandiera dell’estrema destra. La destra intellettuale francese è indiscutibilmente più avanti della destra politica. Il che, paradossalmente, fa ben sperare se è vero che con la cultura si conquistano le mentalità, mentre con la politica si acquisiscono posizioni di potere che alla lunga possono risultare precarie. Una lezione che Marine Le Pen probabilmente, sia pure con colpevole ritardo, ha finalmente appreso.


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