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Controvento non è una tempesta. Per Calise il M5S aspetta solo Conte

Malgrado gli scontri tra l’Associazione Rousseau e M5S il problema del Movimento si chiama leadership, così come per il Pd. Mauro Calise, politologo ed esperto della materia, promuove Conte e Letta, ma forse neanche loro saranno in grado di far uscire i rispettivi partiti dal pantano in cui si trovano

“Siamo in attesa di Giuseppe Conte”, del manifesto Controvento presentato nella serata di ieri da Davide Casaleggio e Enrica Sabatini importa poco a Mauro Calise, politologo, studioso di leadership e partiti personali. A livello politico, i nodi che il Movimento 5 Stelle deve sciogliere non sono infatti relativi a una piattaforma online facilmente replicabile, ma riguardano la necessità di presentarsi come una forza politica che sappia parlare con gli elettori, ma che non si limiti a cannibalizzare il nuovo alleato, il Pd, come invece dicono i sondaggi.

Professore, Movimento 5 Stelle e Pd sono in crisi. Perché?

Così come il Pd, i 5 Stelle sono rimasti orfani della leadership e della linea. Bisogna tenere presente che sono questi i due punti nodali attorno a cui si muovono i partiti, ormai.

In che senso?

Non è che il partito ha una linea e poi si sceglie un leader. La linea la fa il leader, questa è la novità, e i 5 Stelle nella loro esperienza di governo sono passati da Grillo a Conte, con Di Maio a fare da collante, in modo molto abile e intelligente, tra il vecchio e il nuovo. Un nuovo che prima era più leghista, poi più democratico, però di fatto il riferimento di leadership e di linea è passato da Grillo a Conte.

E adesso?

Adesso è normale che il Movimento cerchi in Conte il proprio leader, solo che l’ex premier la leadership l’ha esercitata da Palazzo Chigi. Che è ben diverso dall’esercitarla da una struttura di partito. La domanda più importante, ora, è: si può confezionare una struttura di partito, in che misura nuova, in che misura modificabile, rispetto a quella che c’era prima?

Qual è la risposta?

La risposta è che mentre da Palazzo Chigi, con la premiership in mano, si riusciva a tenere il partito compatto, da dentro la struttura è molto più intricato.

E in mezzo c’è il manifesto ControVento di Casaleggio e la piattaforma Rousseau…

Ma sa, questo problema di Rousseau io lo vedo molto secondario rispetto al problema principale, ossia se Conte riuscirà a trovare un meccanismo che gli consenta di tenere saldamente in mano la leadership del partito.

Cosa è cambiato, rispetto al passato?

Siamo in un momento di passaggio, anche nel Pd. In passato i partiti personali, che hanno dominato la scena politica recente, nascevano intorno a un capo: un esempio è Berlusconi, ma anche gli stessi 5 Stelle che hanno ruotato attorno al tandem Grillo-Casaleggio. A un certo punto questa struttura è andata in crisi, e cosa è mancato? Una leadership forte e riconoscibile quando Grillo si è tirato indietro. Di Maio era un abile politico di transizione e di mediazione, ma non abbastanza forte da non essere fagocitato dal protagonismo di Salvini. I 5 Stelle hanno cominciato a riprendere quota nel momento in cui Conte ha acquistato più peso.

Ossia quando ha “licenziato” Salvini?

Esatto. E poi durante la crisi della pandemia è riuscito a conquistarsi un suo seguito di consenso, insomma è diventato un leader. A questo punto arriva la richiesta dei 5 Stelle di diventare il loro leader, ma lui ha esercitato la leadership da Palazzo Chigi, M5S non è il suo partito personale. Come si fa a personalizzare un partito se non hai più la leva della presidenza del Consiglio? Si potrebbe chiederlo a Renzi, che ha visto il suo consenso personale sfarinarsi assieme alla sua premiership.

Conte ha in mano il passaggio chiave, quindi, di M5S da movimento a partito. Lascerà indietro tutti i dogmi fondativi, come ad esempio, il vincolo dei due mandati?

La trasformazione in realtà già c’era, perché i 5 Stelle avevano le caratteristiche del ceto professionale e Conte su questo non credo che potrà fare sconti. È chiaro che lui non può pensare che si possa andare avanti nel processo di istituzionalizzazione con la regola dei due mandati, cioè che appena hai capito come funziona la Camera te ne devi andare. Questo può funzionare nella fase del “movimento”, ma loro ormai sono una parte integrante della coalizione di governo e sperano di rimanerci, quindi quello dei due mandati mi sembra proprio il punto meno importante.

Così come il rapporto con l’Associazione Rousseau?

Io credo che loro stiano mettendo nel conto, sempre che riescano a sciogliere il nodo legale piuttosto complicato, che Casaleggio se ne vada per la sua strada. Certo, cercheranno di mediare, di stemperare, ma non è il vero problema.

Qual è, allora?

È capire se Conte si può fidare della struttura che metterà per iscritto, e purtroppo le soluzioni di mezzo sono ancora incerte. In Italia o abbiamo i partiti personali a leadership carismatica, oppure il tentativo di un leader più o meno forte di impadronirsi di un partito. Questa seconda cosa l’ha tentata Renzi, ed è finita malissimo, sia per Renzi che per il partito che continuando a uccidere i suoi leader, anche quelli più miti come Zingaretti, si ritrova adesso al 15% alla corte di Letta.

Enrico Letta scioglierà la riserva positivamente?

Letta a sua volta sta cercando tutte le garanzie possibili e immaginabili, ma se il partito arriverà al 12% nel giro di un anno, come indicano i sondaggi, stiamo certi che qualsiasi cosa abbiano messo per iscritto, faranno fuori pure lui. Cioè, della serie, il carisma è fondamentale e il rapporto diretto che riesci ad avere con l’elettorato. E questo per Letta è un punto debole. Da questo punto di vista gli oligarchi e le correnti del Pd stanno cercando la soluzione di emergenza, però il problema di andare a prendersi consensi dall’elettorato Letta non glielo risolve.

Per tornare a Conte, quale sarebbe la mossa più conveniente?

Se gli va bene, Conte potrebbe cannibalizzare un po’ di voti al Pd, ma solo con la garanzia che con lui al comando non scoppi il disastro tra le fila del Movimento, e questa garanzia non ce l’ha. In quest’ottica gli converrebbe liberarsi di Casaleggio e di chi con lui vuole il Movimento d’antan, ma anche questo avrebbe un costo.

A cosa si riferisce?

A questo punto Conte dovrebbe costruire perlomeno un altro tipo di piattaforma che sostituisca Rousseau. Non sarebbe difficile, capiamoci, ma bisognerebbe trovare un modo per trovare nuovi iscritti, che su Rousseau sono congelati e arrivano da una fase politica molto diversa, di almeno otto anni fa. Ecco, lui deve essere capace di dare una risposta anche a questo. Se Conte avesse fatto il suo partito personale, sarebbe stato diverso.

Perché?

Se non lo avessero mandato via da Palazzo Chigi lui si sarebbe costruito una forza politica che guardava più al centro, lasciando i 5 Stelle a riorganizzarsi. Ma quello sarebbe stato il terreno di caccia di Renzi, ragion per cui se n’è sbarazzato, cercava consensi nel suo stesso territorio. Ma ecco, crearsi partiti a tavolini non funziona, quando non è un partito personale. Non è una start-up.

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