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Marco Biagi, ovvero il coraggio della discontinuità nelle politiche del lavoro

Rileggere le riflessioni e le proposte del giuslavorista ucciso diciannove anni fa può aiutare i decisori ad affrontare le difficoltà del presente con la necessaria discontinuità. Dalla definizione di lavoro che si deve allargare alle prestazioni socialmente rilevanti anche se gratuite. Al superamento della rigida separazione tra autonomia e subordinazione. Il ricordo nelle parole di Maurizio Sacconi, già ministro del lavoro e presidente degli Amici di Marco Biagi

Numerosi eventi, ancorché virtuali, ricordano in questi giorni il pensiero e le opere di Marco Biagi nonostante siano trascorsi diciannove anni dalla morte e ben venti dal “suo” Libro Bianco. Non si tratta solo del doveroso omaggio ad un eroe borghese che perseguiva un progetto di modernizzazione del mercato del lavoro nella consapevolezza del pericolo incombente.

La ragione di queste iniziative si collega ancor più alla attualità del suo metodo di ricerca e delle sue intuizioni, tuttora utili per sostenere nella drammatica condizione pandemica una crescita socialmente sostenibile. Biagi indicava infatti la via per alzare i livelli di occupazione attraverso l’emersione dei lavori sommersi e l’investimento nelle competenze.

Di solida formazione cristiana, osservava le persone nei lavori e rifiutava la loro omologazione in una indistinta classe sociale. Avvertiva la fine della economia fordista e con essa l’esaurimento del lavoro seriale. Aveva fiducia nei corpi intermedi e nella loro capacità di autoregolazione individuando nel contratto, specie aziendale e territoriale, lo strumento duttile per regolare il cambiamento continuo. Si è ricorrentemente associato alla sua lezione il requisito del coraggio perché nelle relazioni di lavoro, tuttora, prevale un blocco conservatore che, agitando i comprensibili sentimenti di paura, pretende di riproporre i riti e le soluzioni centralistiche a mala pena giustificabili nella vecchia società industriale.

Onorare Marco Biagi significa quindi non avere paura della verità dei fatti, del salto tecnologico che trasforma i modi di produrre e di lavorare, dell’evidente fallimento delle tradizionali ricette della giustizia distributiva. Nella società europea con i più alti (ma pur sempre minoritari) tassi di sindacalizzazione, continuano ad essere più contenuti che altrove i livelli di produttività, di occupazione, di retribuzione del lavoro.

Per questo rileggerne le riflessioni e le proposte può aiutare i decisori ad affrontare le difficoltà del presente con la necessaria discontinuità. Dalla definizione di lavoro che si deve allargare alle prestazioni socialmente rilevanti anche se gratuite. Al superamento della rigida separazione tra autonomia e subordinazione. Fino alla perpetua integrazione (non alternanza) tra apprendimento e lavoro in una dimensione che sollecita il saper essere prima ancora che il saper fare.

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