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Mosul, da capitale dell’Isis a capitale della fraternità

Terzo giorno del viaggio del papa in Iraq. Prima il Kurdistan iracheno, poi a Mosul tra le macerie della città devastata dal conflitto, poi la recita dell’Angelus nella città di Qaraqosh, infine la messa ad Erbil. Il racconto di Riccardo Cristiano

Nessuno Steven Spielberg avrebbe potuto pensare o realizzare un palcoscenico più impressionante della realtà di Mosul per rappresentare la rivoluzione disarmata della fraternità di Francesco. Così la cerimonia della preghiera per tutte le vittime della feroce violenza fratricida di cui si è fatto espressione globale e locale l’Isis ha dimostrato che l’intenzione di Bergoglio è stata più ricca ed efficace di Hollywood. E resterebbe da capire, pensando a quanto il papa ha detto riportando quella che è stata la capitale dell’Isis nel mondo, perché la fratellanza ci sembri un’astrazione, un’utopia mentre il fratricidio lo accettiamo come possibile realtà.

Francesco ha accettato di arrivare a Mosul con l’auto blindata perché la sua profetica incoscienza non è irresponsabilità, né verso di sé né verso gli altri. Ma quando è entrato in piazza, tra i detriti lasciati dalla ferocia dell’Isis e le sedie ricoperte di candido cotone per la cerimonia, l’idea di un nuovo paradigma è stata evidente, per tutti: lì sulla macerie del fanatismo più estremo tra tutti i fanatismi che credono che fuori dalla propria verità di fede ci sono solo false credenze e quindi una falsa umanità. La presunta “falsa umanità” questi criminali a Mosul e in tutti i territori che hanno conquistato l’hanno perseguitata, uccisa. I lasciti di tutte le culture che seguono questa follia, a braccetto con tanti dispotismi, sono ben visibili nei campi profughi e nelle macerie di cui hanno disseminato tutto l’Iraq e i territori vicini.

Anche a loro si è rivolto Francesco, da Mosul, pregando così: “Ti imploriamo anche per quanti hanno fatto del male ai loro fratelli e alle loro sorelle: si ravvedano, toccati dalla potenza della tua misericordia”. È stato uno dei momenti più alti e intensi della visita di Bergoglio a quella che per anni è stata la cattedrale dell’odio che non può che aver lasciato strascichi dolorosissimi. Ma i canti, i balli della popolazione ha fatto giungere a noi, comodi spettatori del dolore altrui ultra-confessionale, la portata del loro desiderio di fraternità, che il papa ha espresso così: “Oggi, tutti eleviamo le nostre voci in preghiera a Dio Onnipotente per tutte le vittime della guerra e dei conflitti armati. Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi! Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”.

Ci sono dei giorni che sono il prodotto di tanti altri giorni, tutti lunghi ugualmente 24 ore, tutti fatti di albe e tramonti: ma questi giorni restano per sempre. Il 7 marzo 2021, il giorno in cui il papa ha potuto e voluto pronunciare questa parole a Mosul è uno di quelli, indicatori che la pace del Mediterraneo non può che partire da qui, dalle terre di Abramo, l’antica Mesopotamia: se ci sarà pace nel Mediterraneo è perché ci sarà qui, e quindi la visita di Francesco è la sintesi del nuovo cammino di Abramo: partire dalla Mesopotamia per ricostruire la convivenza cosmopolita in tutto il Mediterraneo di ebrei, musulmani, cristiani e agnostici: “Come in uno dei vostri tappeti artistici, un piccolo filo strappato può danneggiare l’insieme”, è questo il messaggio mediterraneo di Francesco.

Poi il papa si è recato nella piana di Ninive, a Qaraqosh, città simbolo dei cristiani iracheni distrutta e vandali Zara dall’Isis. Ma siccome non c’è futuro senza passato, senza un radicamento nella storia passata che colleghi i nuovi sogni a quelli vissuti nel passato, Bergoglio ha riportato a Qaraqosh il Libro Sacro, del XIV – XV secolo in lingua aramaica, che contiene preghiere liturgiche da recitare fra la festa della Pasqua e quella della Santa Croce. Il Libro Sacro, appartenente alla Chiesa siriaco-cristiana della città santa irachena di Qaraqosh, nella Piana di Ninive, è stato restaurato in Italia. Il Manoscritto, grazie ad un’astuzia dei sacerdoti di quella città, era scampato alla furia iconoclasta e anticristiana degli uomini dell’Isis, che dal 2014 al marzo 2017 hanno occupato e devastato quelle terre. Dunque un “libro profugo”, come milioni di persone fuggite da tutte quelle terre. Questo libro sacro, Sidra, era in condizioni di conservazione molto critiche, con problemi vari e complessi: dalla struttura del volume molto compromessa, alla pessima condizione dei pigmenti delle miniature e degli inchiostri della scrittura, dalla fragilità delle carte alle fratture scomposte delle assi lignee della legatura. Dunque il futuro di Qaraqosh ha ritrovato il legame con il suo passato, e il papa parlando in chiesa ha detto di non smettere di sognare, mentre tanti bambini giocavano, cioè sognavano, nella grande navata centrale. Nel suo discorso il papa si è lungamente soffermato sulla necessità del perdono. Un paese da ricostruire, da reinventare, richiede legame con il passato e perdono per credere nel futuro. Era questo il desiderio del papa: trasmettere a tutti gli iracheni la fiducia nel loro futuro, liberi dai fanatismi assoldati da ideologie e despoti feroci.

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