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L’Italia investa e spenda (come gli Usa). Ma attenti a inflazione e sperperi. Parla Messori

L’economista Luiss e saggista: i due piani pandemici americani rappresentano una gigantesca macchina da guerra contro la recessione. Ma se attuati in modo disordinato possono essere micidiali per inflazione e conti pubblici. L’Italia e l’Ue non avranno di questi problemi, semmai pensino a spendere bene i soldi del Recovery Plan

Maneggiare quasi 5 mila miliardi di dollari richiede delle accortezze. Altrimenti la toppa rischia di essere peggio dello strappo. Il piano di Joe Biden, 3 mila miliardi da aggiungere ai 1.900 del Rescue Plan appena approvato dal Congresso può rappresentare uno spartiacque nell’economia statunitense, fino a poche settimane fa a un passo da una nuova Grande Depressione. A patto però che si coordinino le misure in campo, sussidi e stimoli fiscali da una parte, spesa pubblica per investimenti dall’altra, dice a Formiche.net Marcello Messori, economista Luiss e saggista.

Messori, dopo il Rescue Plan di inizio anno, adesso l’amministrazione Biden punta su un nuovo piano da 3 mila miliardi. Baricentro, le infrastrutture e gli investimenti pubblici. Che effetto potrà avere sull’economia reale e sui conti pubblici americani questo tsunami di liquidità?

L’iniziativa da 1.900 miliardi di dollari varata dall’amministrazione Biden avrà, soprattutto, l’effetto di sostenere i redditi disponibili delle famiglie e i consumi. La scommessa è che tale sostegno determini, nel breve termine, un ulteriore salto nel tasso di crescita dell’economia statunitense. Il secondo progetto, che dovrebbe avere dimensioni ancora maggiori, è invece proiettato sul medio termine perché finalizzato a rafforzare anche – se non soprattutto – il potenziale di offerta e l’efficienza del sistema economico.

Tutto ciò non può produrre delle distorsioni di mercato?

Qualora il presidente Biden non riuscisse a realizzare l’intero disegno, l’economia statunitense correrebbe il rischio di aumentare nel medio termine i suoi squilibri di bilancia commerciale. Mentre qualora riuscisse a realizzare entrambe le iniziative fiscali ma senza uno stringente coordinamento, rischierebbe di surriscaldare l’economia. Il che avrebbe impatti sui prezzi o renderebbe inevitabili scelte restrittive di politica monetaria. Non dimentichiamoci poi che le scelte parlamentari statunitensi sono, fin d’ora, condizionate dalla scadenza elettorale di mid-term.

In Italia si dibatte spesso circa il ricorso agli investimenti pubblici, vero volano della ripresa secondo i più. Ma, al netto della componente Recovery Plan, è davvero replicabile l’approccio statunitense su scala italiana o europea?

Chiariamo un punto. Va innanzitutto sottolineato che, nel biennio 2020-2021, l’immissione di liquidità aggiuntiva nel sistema economico mediante la politica monetaria è stata e rimarrà più accentuata nell’euro area che non negli Stati Uniti. Ed è invece vero che l’iniziativa fiscale da 1.900 miliardi di dollari, recentemente approvata dal Parlamento statunitense, è ingente. Non va comunque dimenticato che, negli Stati Uniti, il bilancio federale ha un ruolo molto maggiore che non il bilancio accentrato europeo.

Tradotto?

Per istituire un confronto fra le politiche fiscali nelle due aree, non si deve fare riferimento solo al Next Generation Eu per l’Europa ma si deve tenere anche conto delle politiche fiscali nazionali molto espansive che gran parte dei Paesi europei sta attuando.

Gli investimenti pubblici, però, farebbero bene anche all’Italia. Copiare gli Usa può essere complicato. E allora?

Nel caso italiano, la sfida di sistema è duplice: fra il 2021 e il 2023, si tratta di utilizzare in modo efficace le risorse, messe a disposizione dal Recovery and Resilience Facility, per quanto riguardo la combinazione fra investimenti e riforme. E, per gran parte del 2021, di continuare a effettuare rilevanti spese nazionali per fronteggiare l’emergenza delle famiglie e delle imprese. Ovviamente l’ammontare totale delle risorse, mobilitate da queste due sfide, non è paragonabile ai due  pacchetti statunitensi. Eppure, anche scontando la scala più limitata, per l’Italia i termini quantitativi della sfida sono già molto difficili da gestire.

Perché?

Perché rispetto alle spese di emergenza, si tratta infatti di fare scelte progressivamente più selettive senza aggravare gli squilibri nella distribuzione del reddito e le aree di povertà e senza condannare all’uscita dal mercato imprese potenzialmente profittevoli. E rispetto ai progetti di investimento e di riforma, si tratta di effettuare scelte prioritarie che attenuino i colli di bottiglia ossia i freni alla nostra crescita negli ultimi venti anni.

Messori, più liquidità nel sistema vuol dire anche più potere d’acquisto e dunque più inflazione. Un problema, non solo per il Usa?

Non credo che, entro un orizzonte di medio periodo, l’Unione europea corra il rischio di fronteggiare tassi di inflazione eccessivi per cause interne all’area (quali le scelte di politica economica). Ci potranno essere fiammate temporanee che, come ha sottolineato la Banca centrale europea, non incideranno sulle tendenze di fondo.

E negli Usa?

Negli Stati Uniti la dinamica dei prezzi dipenderà dalla politica fiscale effettivamente attuata dall’amministrazione Biden. Come segnala anche l’attuale andamento nella curva dei tassi di interesse (con un forte aumento dei tassi sui titoli a lunga scadenza), negli Stati Uniti un inefficace coordinamento delle politiche fiscali potrebbe avere impatti inflazionistici significativi. Se così accadesse, è davvero difficile prevedere quali effetti contagio potrebbero interessare l’Unione europea e l’area dell’euro.

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