Skip to main content

La linea Blinken è arrivata alla Nato. Gli spazi per l’Italia secondo Bressan

Tony Blinken ha riportato alla Nato i toni tradizionali di solidità transatlantica. Si cerca ancora una linea comune su Cina e Nord Stream 2, mentre l’Alleanza esce compatta su terrorismo, cyber e cambiamento climatico. Per l’Italia, ci sono gli spazi per alimentare l’attenzione al fianco sud. L’analisi di Matteo Bressan, docente di Studi strategici presso la Lumsa, analista della Nato Defense College Foundation

I segnali emersi dalla riunione tra i ministri degli Esteri della Nato e, in particolar modo, le dichiarazioni del segretario di stato americano Antony Blinken, sembrano confermare la volontà di rilancio dell’Alleanza Atlantica da parte dell’amministrazione targata Joe Biden. La notizia è di per sé rilevante se si considerano i toni delle ultime ministeriali sotto la presidenza di Donald Trump, che tanta preoccupazione avevano destato tra gli alleati fino a presagire un futuro incerto per l’Alleanza che, proprio nel 2019, ha celebrato i suoi 70 anni.

A fronte di questo segnale di discontinuità, sono emerse alcune divergenze rilevanti all’interno della stessa alleanza, come nel caso del gasdotto Nord Stream 2 e nella postura nei confronti dell’ascesa della Repubblica Popolare Cinese. Al contrario, si è registrata una maggiore condivisione di fronte alle nuove minacce quali il terrorismo, gli attacchi informatici, le tecnologie disruptive e i cambiamenti climatici. Dall’esito di questa ministeriale si comprende come non tutti gli alleati abbiano la stessa percezione della sfida globale tra gli Stati Uniti e la Cina, né tantomeno sulle tensioni riemerse, e in parte contenute nel corso dell’amministrazione Trump, tra Washington e Mosca. Tensioni che, a livello tattico, stanno sensibilmente avvicinando la Russia e la Repubblica Popolare Cinese, superpotenze che proprio in queste ore hanno contestato quelle che sono state definite le “alleanze politico – militari della guerra fredda” utilizzate da Washington.

A fronte di un’Alleanza che vuole esser sempre più globale e che ha dato anche segnali considerevoli di sapersi adattare alla sfida della pandemia e alle nuove minacce, si ha la sensazione che molto debba esser ancora fatto per quanto riguarda le sfide provenienti dal fianco sud.

È in questo contesto, in cui si trova ad operare il nostro Paese, che andrebbero compiuti ulteriori passi in avanti nella cooperazione tra la Nato e l’Unione europea, annunciati sin dal summit di Varsavia del 2016, ma non ancora realizzati compiutamente. Dal dossier libico con l’Operazione EuNavForMed Irini e la missione civile Eubam Libya, alla partecipazione nelle missioni Onu ed europee in Africa, dai Balcani con l’Operazione Kfor, al Libano con l’Unifil e Mibil, fino agli impegni nazionali e in ambito Ue e Nato in Iraq, il nostro Paese ha ampliato il suo ruolo di contributore di sicurezza. È però chiaro, come ricordato anche dal ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio, come l’Alleanza sia chiamata a fare di più, condividendo responsabilità nella gestione di sfide che andranno a incidere sulla sicurezza dei Paesi dell’alleanza.

In questa visione di “Mediterraneo allargato”, dal Golfo di Guinea al Corno D’africa, così centrale per gli interessi strategici del nostro Paese si colloca la recente visita del ministro della Difesa Lorenzo Guerini presso la base a Gibuti, dove è schierato il contingente italiano, e in Somalia. Una visita che conferma l’attenzione e l’impegno del nostro Paese per il continente africano attraverso un approccio multidimensionale, fatto non solo di presenza militare, ma anche di una fitta rete diplomatica e cooperazione internazionale, come peraltro evidenziato dal documento strategico elaborato lo scorso anno dal Maeci e intitolato “Il partenariato con l’Africa”.

L’impegno del nostro Paese per la stabilità del Corno d’Africa e per la protezione e libertà di navigazione di uno dei choke-point più importanti per i traffici marittimi evidenzia proprio in questi giorni la sua attualità. In queste ore abbiamo assistito alle preoccupazioni derivanti dalla vicenda della porta container Ever Given che ha bloccato il Canale di Suez dove transita il 12% del commercio mondiale. Quanto accaduto ci fa capire come un’interruzione, anche temporanea, di uno dei choke-point del Mediterraneo possa avere un impatto devastante sull’economia del nostro Paese dove, il 36% dell’interscambio commerciale, viaggia via mare e rappresenta circa il 50% del nostro Pil.


×

Iscriviti alla newsletter