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Africa, quale ruolo per Nato e Ue. L’analisi di Bertolotti

Il rapporto “Nato 2030: Uniti per una nuova era” ha un’attenzione particolare al cosiddetto “fianco sud” dell’Alleanza, e dunque al Mediterraneo e al continente africano, dove la Nato e l’Ue sono presenti e attive e guardano all’area come a un potenziale terreno di incontro e cooperazione. Un Sud stabile offrirebbe la prospettiva di concretizzare l’immenso potenziale latente delle società e delle economie di questa regione, con conseguenti benefici per i Paesi dell’area euro-atlantica: della Nato e dell’Unione europea. L’analisi di Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight

È insolito per un’alleanza discutere in pubblico del proprio futuro: ma la Nato – alleanza prima politica e poi militare – lo ha fatto affidando a un gruppo di riflessione indipendente il compito di rispondere a una domanda fondamentale: come può l’Alleanza diventare politicamente più forte, così come lo è sul piano militare? Il 1° dicembre 2020 è stato così presentato il rapporto “Nato 2030: Uniti per una nuova era”, con un’attenzione particolare al cosiddetto “fianco sud” dell’Alleanza, e dunque al Mediterraneo e al continente africano, dove la Nato e l’Unione europea sono presenti e attive e guardano all’area come a un potenziale terreno di incontro e cooperazione.

È però vero che, sebbene le due organizzazioni abbiano già formalmente cooperato in Africa, ciò è avvenuto in maniera scoordinata e con conseguente duplicazione degli sforzi e dei costi, come ci confermano le numerose esperienze operative: dalle missioni del Darfur, al supporto alle forze somale, al pattugliamento marittimo anti-pirateria, come l’operazione Allied Provider della Nato e l’Eu-Navfor Atalanta e, ancora, l’operazione Allied Protector (poi Ocean Shield).

VISIONI E AMBIZIONI

Gli Stati Uniti guardano all’Africa sia come spazio di crescita economica sia come una fonte di minacce agli interessi americani.

L’Unione europea, da un lato – anche in conseguenza dell’attuale crisi economica –,  sta cercando potenziali mercati al di fuori del proprio continente e per questo guarda con interesse alle economie in rapida crescita dell’Africa (anche in virtù dei legami consolidati tra i due continenti); dall’altro dimostra però preoccupazione per le minacce rappresentate dai flussi migratori irregolari, il terrorismo jihadista e l’insicurezza in Libia: tutti fattori di instabilità e insicurezza in cui il semplice fattore geografico gioca un ruolo importante, poiché il Mediterraneo è tanto un collegamento quanto una barriera tra l’Africa e l’Europa.

DUE STRATEGIE COMPATIBILI?

Da un lato possiamo osservare come la Nato si sia evoluta considerevolmente, passando dalla difesa collettiva a un approccio più ampio alla sicurezza che si estende oltre i confini fisici dell’Europa e che si concentra sulla difesa degli interessi dell’Alleanza. Lo stesso “Concetto strategico della Nato” del 2010 ne delinea i tre compiti fondamentali: difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. La dichiarazione del vertice del Galles del 2014, nel riaffermare l’impegno in questi tre compiti, ha posto l’attenzione alla crescente instabilità e alle minacce multidimensionali nel e dal Nord Africa, unitamente ai traffici di droga e di esseri umani nel Sahel. Ciò nonostante, la Nato non ha ancora definito una propria strategia per l’Africa, né per il più ampio spazio compreso nella definizione di “fianco sud”.

Dall’altro lato, la strategia di sicurezza della Ue indica le possibili minacce alla propria sicurezza: il terrorismo, i conflitti, il fallimento di alcuni stati africani, la criminalità organizzata. La strategia europea, nel fare esplicito riferimento all’Africa occidentale e al modo in cui queste minacce possono imporsi, sottolinea l’esigenza di operare al fianco degli Stati Uniti e dei partner africani al fine di contrastare e prevenire tali pericoli. Coerentemente con la propria visione, l’impegno della UE in Africa, in termini di missioni e operazioni condotte nell’ambito della Psdc, rappresenta oltre il 60% dello sforzo complessivo; a ciò si unisce il fatto che l’Africa è l’unica regione non europea a disporre di un fondo dell’Ue dedicato alla pace e alla sicurezza: l’African peace facility (Apf).

L’ INTERESSE PER IL CONTINENTE AFRICANO SI CONCRETIZZA NELLE MISSIONI DELLA NATO E DELL’UNIONE

I partenariati per la Nato e l’Ue stanno diventando più ampi e meno esclusivi e anche l’Unione africana (UA) ha ampliato la sua lista di partner. Sebbene la maggior parte dei leader africani aderisca al mantra delle “soluzioni africane per i problemi africani” e molti abbiano reali preoccupazioni sul neocolonialismo, diversi paesi africani mantengono ampi programmi di difesa bilaterale con uno o più paesi occidentali. L’Au e alcune Comunità economiche regionali (Rec) e Meccanismi regionali (Rm) associati alle diverse regioni dell’Africa mantengono anche partnership per la sicurezza e la difesa con membri dell’Ue e della Nato. Sia l’Ue che la Nato hanno anche partenariati formali a livello organizzativo con l’Unione africana.

ZONE DI SOVRAPPOSIZIONE O SPAZI DI COLLABORAZIONE?

L’approccio multidimensionale dell’Ue alla costruzione della sicurezza nel Corno d’Africa è una conferma della capacità organizzativa, finanziaria e operativa: questo è un indubbio vantaggio che l’Unione ha nei confronti della Nato.

L’Alleanza atlantica ha invece dimostrato di saper mobilitare forze e consenso internazionale nel corso degli impegni degli ultimi vent’anni.

Date le premesse, sarebbe opportuno quanto necessario che la Ue e la Nato sviluppassero una strategia congiunta finalizzata ad affrontare le minacce alla sicurezza del “fianco sud”, ciascuna con ruoli specifici da rispettare coerentemente con gli obiettivi concordati, così da sfruttare al meglio la complementarità e ridurre al minimo le duplicazioni (e dunque i costi).

L’attrito esistente tra le due organizzazioni, così come le divergenze all’interno delle stesse (dalle relazioni Grecia-Turchia alla gestione della crisi libica) rendono però improbabile lo sviluppo di una tale strategia nel breve termine.

Ma è bene tenere in considerazione che tali differenze e attriti, se non gestiti in maniera accurata, potrebbero compromettere la capacità di rispondere alle sfide alla sicurezza nella regione e mettere a rischio la stessa coesione delle due organizzazioni.

Al contrario, un Sud stabile offrirebbe la prospettiva di concretizzare l’immenso potenziale latente delle società e delle economie di questa regione, con conseguenti benefici per i Paesi dell’area euro-atlantica: dunque della Nato e dell’Unione europea.

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