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Non solo 007. Ecco chi dà la caccia all’oro nero digitale

In principio erano gli 007 e gli hacker, oggi i protagonisti sono cambiati (non solo a causa della pandemia). La caccia all’oro nero digitale, i dati, vede in corsa nuovi attori, dalle big tech alle app finanziate dagli Stati autoritari. La lezione del prof. Michele Colajanni (Alma Mater di Bologna) al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri

Si sente spesso dire che la pandemia ha rivoluzionato il mondo della sicurezza. È vero e lo dicono i dati: dal picco di attacchi informatici alle aziende strategiche italiane sotto attacco da parte di speculatori esteri, l’enorme ampliamento della platea digitale ha presentato un conto salatissimo. È vero anche però che alcuni processi preesistevano all’emergenza sanitaria da cui sono stati semplicemente accelerati. Nella corsa mondiale all’accaparramento del vero oro nero digitale, i dati, da tempo si è verificato un avvicendamento. I protagonisti non sono più, come pure un certo cliché vorrebbe far pensare, gli 007 “vecchia maniera”, giacca, cravatta e valigetta 24 ore, o gli hacker finanziati dai governi. O meglio, non solo. Lo ha spiegato bene, in una recente lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, Michele Colajanni, professore dell’Università “Alma Mater” di Bologna

Intelligence, Michele Colajanni al Master dell’Università della Calabria “Per affrontare la società digitale l’unico modo è studiare costantemente. Le principali scelte di vita vengono assunte prima dei vent’anni e i social si stanno concentrando sui giovani”.

Una premessa: “Nella Pangea digitale sfumano i confini tra privato e pubblico, dove il legale è legato ai confini nazionali e l’illegale può approfittare di una rete dove le notizie vengono condivise in modo rapidissimo e gli attacchi possono essere sferrati in secondi su scala mondiale. Anche i rapporti di forza tra Stati si stanno modificando, per cui Paesi piccoli, come ad esempio la Corea del Nord o Israele, possono diventare potenze digitali e competere con i Paesi molto più grandi”.

Quindi il cuore della questione: “I dati rappresentano il nuovo petrolio e i due mercati totalmente digitali più ricchi, misurabili in centinaia di miliardi di dollari all’anno, sono rappresentati dalla compravendita dei dati e dal cybercrime”. Eppure gli attori protagonisti sono cambiati. I più grandi serbatoi di “petrolio” digitale sono oggi attori privati. Applicazioni, big tech, società della Silicon Valley. “Gli stessi social sono nati appositamente per acquisire i nostri dati: non è vero che ce li rubano; siamo noi che glieli diamo senza leggere i termini di utilizzo. Anche l’applicazione cinese Tik Tok nasce con l’obiettivo apparente di far divertire i giovani, ma soprattutto per acquisire i loro dati che sono fondamentali, perché l’80% delle scelte importanti che ciascuno compie nella vita vengono effettuate prima dei vent’anni”.

Alcune di queste app, spiega Colajanni, sono in verità costituite sin dall’origine “con il reale motivo di acquisire dati”. Qui, aggiunge, il confine fra legalità e illegalità è sempre più labile. “Nei soli Stati Uniti sono state censite oltre cinquemila società di Data Broker, di cui gli utenti non sanno nulla ma che raccolgono, elaborano dati personali di tutti i tipi, inclusi quelli sanitari, genetici, bancari. Tutto dipende dalle leggi di uno specifico Paese che tuttavia non si applicano in un altro. Inoltre, sempre in America, il 30% delle persone utilizzano gli assistenti digitali, che sono facilitatori nella ricerca delle informazioni che però vengono filtrate sulla base di regole di utilizzo ignote, senza alcun vero controllo personale, ben al di là di ogni legge sulla privacy”.

È un fenomeno talmente in crescita che spesso il legislatore non riesce a starci dietro. E così si aprono spazi chiaroscurali, al confine della legalità. “La Pangea digitale, fondata su tecnologie di elaborazione e di comunicazione estremamente più rapide di qualsiasi capacità umana ha enormi problemi costitutivi a livello di princìpi etici, legali, economici, che si evidenziano nella carenza di organismi internazionali che devono deliberare, vigilare e far rispettare le leggi. In uno scenario senza confini per criminali, attaccanti cyber, Big Tech e data broker, ogni legge nazionale rischia di essere velleitaria”.

Qui gli Stati autoritari, spiega Colajanni, hanno un vantaggio competitivo. “Tutti gli Stati sono in difficoltà, ma le democrazie soffrono più degli stati autoritari che riescono a imporsi sulle proprie aziende tecnologiche, e il recente caso di Alibaba è esemplare. Tuttavia, ritengo probabile che tutti i Paesi dovranno arrivare a qualche forma di compromesso con le Big Tech che, non va dimenticato, sono i fondatori del mondo digitale, e ai padri fondatori vanno riconosciuti dei meriti e anche dei crediti. La strada migliore è il compromesso piuttosto che una guerra intestina che qualcuno inopinatamente suggerisce. Siamo sicuri che provare a parcellizzare Amazon, Google, Microsoft faccia gli interessi delle democrazie occidentali quando analoghe realtà titaniche sono state create in Paesi non democratici?”.

“Anche l’intelligence – ha concluso- deve adeguarsi a uno scenario molto diverso da quello in cui era depositaria di tutti i segreti, quando le fonti aperte erano poche, controllate e in gran parte censurate. Quel mondo non esiste più: tutti i cittadini sono reporter con una telecamera in tasca; tutti hanno la possibilità di diffondere notizie vere, false, false ma credibili, magari generate dai nuovi strumenti di deepfake, tecnica basata sull’intelligenza artificiale, con la quale si combinano video e parole per creare dichiarazioni che sembrano inquivocabimente credibili mentre sono totalmente false. Alcune informazioni classificate vengono pubblicate sul web, come ha dimostrato Wikileaks e altri siti del dark web; altre informazioni delicate appaiono su Twitter prima che possano arrivare all’intelligence. In questi scenari, è diventato fondamentale saper gestire le fonti aperte con strumenti adeguati, umani e tecnologici, e saper integrare il tutto con le informazioni riservate proprie dell’intelligence.

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