La Cina è il primo Paese al mondo a lanciare il passaporto vaccinale. Disponibile su WeChat, non è (ancora) obbligatorio. I dubbi di Borghi (Copasir) sui dati: “Il Grande Fratello è tra noi”
“Aiutare a promuovere la ripresa economica mondiale e a facilitare i viaggi oltre confine”. Con questo obiettivo il ministero degli Esteri cinese ieri ha presentato il passaporto vaccinale che attesta l’immunizzazione per il Covid-19. La Cina diventa così il primo Paese al mondo a mettere in campo un simile certificato che mostra lo stato vaccinale di un cittadino e i risultati dei test per il coronavirus che ha effettuato.
Il passaporto non è obbligatorio – al momento. Stati Uniti e Regno Unito stanno pensando a qualche di simile. L’Unione europea, invece, sta lavorando a un green pass per permettere ai propri cittadini che siano stati vaccinati di muoversi liberamente all’interno e all’esterno dei confini europei.
Il certificato può essere ottenuto attraverso la piattaforma WeChat e contiene un codice Qr che consente alle autorità degli altri Paesi di ottenere le informazioni sanitarie dei turisti provenienti dalla Cina, spiega l’agenzia statale Xinhua. In Cina un sistema di codici Qr viene già utilizzato per regolare l’accesso ai trasporti e ad altri luoghi pubblici, tramite app che tracciano gli spostamenti dei cittadini e producono un codice “verde” se l’interessato non è stato in stretto contatto con persone infette o non ha viaggiato in zone considerate focolai.
Proprio le modalità del passaporto vaccinale cinese generano qualche perplessità. “Tutti i cittadini schedati, con dati sensibili passati direttamente via cellulare allo Stato-Partito Unico che può farne un uso arbitrario. Il Grande Fratello è tra noi”, ha twittato Enrico Borghi, deputato del Partito democratico e membro del Copasir.
WeChat – già nel mirino della precedenza amministrazione statunitense per ragioni di sicurezza nazionale – è una piattaforma della società Tencent, un colosso privato che però, secondo la Cia, è finanziato anche dal governo cinese (ma il gruppo smentisce). WeChat è anche una delle piattaforme che Pechino sta utilizzando per avviare la sperimentazione dell’uso di massa della valuta digitale.
E c’è di che preoccuparsi, stando a un recente rapporto del Center for a New American Security, think tank statunitense che molti suoi esperti ha fornito alla nuova amministrazione di Joe Biden. Il documento si intitola “China’s Digital Currency” e il sottotitolo è eloquente: “Aggiungere i dati finanziari all’autoritarismo digitale”. La nuova architettura di pagamenti digitali, si legge nel dossier (già analizzato in precedenza su Formiche.net), “consentirà probabilmente al Partito comunista cinese di rafforzare il suo autoritarismo digitale a livello nazionale ed esportare la sua influenza e la definizione degli standard all’estero” (anche attraverso la Via della Seta). E ancora: “Eliminando alcuni dei vincoli precedenti sulla raccolta dei dati da parte del governo sulle transazioni di privati cittadini”, il sistema di pagamenti digitali cinese “rappresenta un rischio significativo” anche per gli standard di “privacy finanziaria sostenuti nelle società libere”.