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Morire per amore in Polinesia. Tabù di Murnau compie 90 anni

Il 18 marzo 1931 a New York veniva proiettato “Tabù” di Friedrich W. Murnau. Un capolavoro assoluto, senza dialoghi, dallo splendido bianco/nero, che faceva conoscere al mondo la sana vita dei nativi polinesiani. Una struggente tragica storia d’amore di due ragazzi, che ancora oggi ci commuove. La sedicenne franco-polinesiana Anne Chevallier fece innamorare il pubblico con il suo innocente sguardo

Lei si chiama Reri (Anne Chevallier), lui Matahi, sono due adolescenti, si amano. Siamo nell’isola di Bora-Bora. Giocano, scherzano, ridono, si rincorrono, insieme al gruppo dei ragazzi e ragazze, vestiti dell’essenziale; la pelle è ambrata, il bianco sorriso splendente, i corpi atletici e flessuosi. Tra scherzi, nuotate nei piccoli laghetti e nelle cascatelle, giochi a nascondino tra la vegetazione, la gioventù dell’isola è felice. Se sono alla guida delle piccole canoe, quando si esce in mare aperto per la pesca, il sole e il vento accarezza i loro corpi e li fa belli. Siamo in un paradiso incontaminato, non toccato dal male.

IL SACRIFICIO E IL TABÙ

Un giorno, per mezzo del vascello francese, dall’isola principale del piccolo arcipelago (sono colonie francesi) arriva l’anziano sacerdote. Comunica alla comunità cui appartengono i due innamorati, che la vergine sacra agli dei delle isole è improvvisamente morta. Il gran sacerdote ha deciso che sarà Reri, “per sangue reale e per castità” a prendere il posto della vergine scomparsa. Quindi, Reri non può amare nessuno, non può sposarsi. Dal volto di Reri scompare il sorriso, così pure l’ampia fronte di Matahi si rabbuia. Da quel giorno Reri non può essere toccata, nessuno può gettarle “uno sguardo di desiderio”. Pena la morte. Reri è “Tabù”.

ROMPERE IL TABÙ

La ragazza è sul vascello, custodita dal sacerdote, in attesa dell’alba per salpare. Però, di notte, ella viene ripresa da Matahi con l’aiuto dei suoi due compagni. Inizia, per la coppia, la fuga verso la libertà, verso la vita, verso altre isole. Sono in pericolo, hanno infranto il tabù. Giungono stremati, con la loro malconcia canoa, su un’altra isola dell’arcipelago. Vengono soccorsi. Cercano di ambientarsi nella nuova isola, già colonizzata dagli occidentali. Ma la vita è diversa. Gli indigeni, accanto agli uomini bianchi, hanno preso tutti i vizi: feste sfrenate, alcool, fumo, pesca di frodo delle ostriche preziose; commercio al nero delle perle; corruzione della polizia.

MATAHI E RERI

Il ragazzo Matahi viene usato, senza che egli realizzi, per scendere in apnea e staccare le ostriche con le perle dalle rocce marine e far guadagnare i trafficanti che lo ricompensano con pochi soldi, per lui tanti. La coppia torna a sorridere, Vivono da fidanzati casti in una dignitosa capanna. Ma ecco che torna il vecchio e torvo sacerdote. Minaccia Rei: se non lo segue, tempo tre giorni, Matahi verrà ucciso. Reri, quando Matahi è fuori, scrive un biglietto e segue il vecchio sulla barca di questi, per salvare la vita dell’innamorato. Quando Matahi torna nella capanna e trova il biglietto si getta all’inseguimento.

ANNEGARE PER AMORE

Matahi usa per un tratto la canoa, poi questa imbarca acqua, continua a nuoto in mare aperto. Nuota rapido, sottoponendosi a un grande sforzo, sta raggiungendo la barca del vecchio. Dalla poppa pende una fune. Il ragazzo la sta afferrando, ma il vecchio, nel suo estremo gesto di malvagità, taglia la corda. Matahi continua a nuotare, la barca si allontana, egli diventa un puntino che pian piano annega, esausto. Reri, chiusa in una angusta stiva, non vede niente. Non saprà mai che Matahi è morto per lei, per amore. Alla prima del film a New York il pubblico usciva con gli occhi pieni di lacrime. Tabù fece piangere milioni di spettatori.

LITI SUL SET

Tabù doveva esser realizzato a quattro mani, da Robert Flaherty e Friedrich W. Murnau. Quest’ultimo, già celebre autore dell’espressionismo tedesco, dal 1926 emigrato ad Hollywood, si era subito fatto apprezzare con l’Oscar al perfetto Aurora (1927). Flaherty, dal canto suo, era riconosciuto come il miglior documentarista etnografico nel lungometraggio degli anni Venti, grazie a due capolavori, Nanook l’eschimese (1922) e Moana (1926). Murnau aveva chiesto aiuto a Flaherty per la sua conoscenza delle isole orientali. Ma sul set non trovarono un accordo. Si dice per il carattere troppo autoritario di Murnau e la riservatezza di Flaherty, che si ritirò dal film dopo aver girato le prime scene, quelle dei giochi innocenti tra i giovani.

ETNOLOGIA, ESTETICA ED ETICA

Murnau mantenne il taglio etnografico del film, prediligendo però l’azione come da autentico maestro della fiction e della suspense. La vana rincorsa a nuoto di Matahi è da antologia. Gli attori, tutti non professionisti, sono diretti magistralmente, anche nelle minime reazioni del volto. La sedicenne Anne Chevallier, figlia di padre francese e madre polinesiana, bilingue, sorride con gli occhi e si rattrista, come poche star hanno saputo fare. E il no happy end è quello che Murnau aveva realizzato per Der Letze Man (L’ultima risata, 1924), in Germania, ma che la produzione volle virare in lieto fine. È vero che Aurora avrà poi un riuscito lieto fine, ma solo dopo aver sfiorato l’ennesima tragedia. Qui il tema dell’assurdo tabù andava denunciato senza esitazione. Murnau accusava tutte le religioni e, indirettamente, ogni dittatura, quando tolgono la libertà al soggetto rendendolo una marionetta senza vita.



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