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Come è difficile la politica senza avversari. Il mosaico di Fusi

È proprio questa la sfida del governo Draghi. Leader e partiti possono appoggiarlo sapendo che se il Paese ritrova un suo equilibrio, chiunque verrà dopo potrà beneficiarne senza pagare prezzi altissimi e addirittura insostenibili in termini di consenso. È una questione di convenienza che si sposa a lungimiranza. Il mosaico di Fusi

Ma com’è difficile stare senza avversari. Com’è disagevole non avere un nemico da evocare prima e combattere poi. Un Moloch da abbattere senza se e senza ma. Com’è complicato fare politica e rivolgersi ai propri elettori senza poter addebitare al “malvagio” che sta di fronte colpe, ritardi, scelte scellerate. Perché invece che contrapposto quel tipo lì siede al nostro fianco, compagno di viaggio e di decreti legge.

Una condizione apparentemente innaturale, un’aporia insostenibile. Invece nella maggioranza di larghe intese guidata da Mario Draghi è proprio questa la condizione di esistenza e di comportamento di forze politiche che sono attestate su fronti fino a ieri divaricati e che oggi devono giocoforza collaborare. Non è la scomparsa della politica in un indistinto magma laudatorio. Piuttosto la condizione necessitata per investire l’ultima chance di rimettere in sesto il Paese, affrontare efficacemente la pandemia e predisporre le basi per accogliere e soprattutto far fruttare al meglio le risorse che arrivano dalla Ue.

Mica facile camminare così, sul filo dell’identità logorata. Già perché la politica italiana vive e prospera nella guerriglia continua contro l’avversario che è depositario di ogni nefandezza. Cresce e s’ingrossa nella demonizzazione dell’altro. Diventa (e negli ultimi decenni sempre più spesso) l’architrave della fisionomia propria di partiti e movimenti che sono, loro sì, via via diventati contenitori di pulsioni diverse e magari perfino opposte, ma che si reggono e si giustificano nella battaglia con chi sta nella trincea opposta. L’epoca del Cavaliere male assoluto assieme a quella del Vaffaday è alle spalle. Ma cosa la deve sostituire?

Servirebbe uno spirito di squadra, che nelle lande dei guelfi e dei ghibellini, dei cento campanili perennemente inquieti è forse impossibile. Potrebbe sostituirlo lo spirito di servizio: servizio ai cittadini, allo Stato che è di tutti, nel rispetto di forme e istituzioni che reggono la democrazia. Potrebbe, dovrebbe: al riparo di ogni spinta retorica. Però è difficile. Se l’avversario manca o sfuma, si è costretti a guardarsi dentro per trovare le ragioni di sussistenza. Il rischio è che un tale esercizio metta a nudo difficoltà è contraddizioni, giochi di potere e di corrente, criticità e ostacoli a rivolgersi agli elettori non più solo inalberando la bandiera di chi non siamo e non vogliamo.

E infatti qua e là serpeggia nella maggioranza attuale, spuria e straordinaria come non mai, la voglia di distinguersi, di scavare (neanche tanto a fondo) per individuare motivi e ragioni di dissenso, di rovistare nel baule dei ricordi per provare a riattualizzare idee e prospettive che rassodino il proprio campo a discapito di quello altrui. Di agitare le proprie bandierine attaccando chi siede dalla stessa parte in qualità di alleato. Fa fico, non costa nulla, ti fa guadagnare un bel titolo di giornale. E poi sparisce lasciando nulla salvo che miasmi.

Si tratta di un riflesso condizionato che sarebbe troppo facile, e gratuitamente moralistico, dileggiare. Piuttosto l’importante sta nel ricondurlo nel controllo di un sistema nervoso centrale che sa qual è l’obiettivo da perseguire, i movimenti da fare per raggiungere lo scopo.

Usando un consunto slogan, si tratta di passare dalla politica del contro a quella del per. Complicato. Eppure obbligato. L’ampiezza delle difficoltà è tale che nessuno può pensare di vincere da solo. Sia come partito ma anche come schieramento. Destra vs sinistra; Nord contro Sud, imprenditori versus sindacati, anziani contro giovani: che Italia è? Non quella che può affrontare con adeguatezza la pandemia e riaprire il cantiere della crescita e dello sviluppo.

A ben vedere è proprio questa la sfida del governo Draghi. Sta qui il core business di un tentativo che è sistemico. Leader e partiti possono appoggiarlo sapendo che se il Paese ritrova un suo equilibrio, chiunque verrà dopo potrà beneficiarne senza pagare prezzi altissimi e addirittura insostenibili in termini di consenso. È una questione di convenienza che si sposa a lungimiranza.

Una situazione eccezionale che sarebbe autolesionistico non sfruttare disperdendola nel guazzabuglio della polemica giornaliera.

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