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Robot-poliziotti e umanoidi su Marte. Così la fantascienza diventa realtà

Da oltre mezzo secolo siamo abituati a immaginare i robot come protagonisti di film e racconti di fantascienza. Oggi stanno però cominciando a muoversi tra di noi, per ora sul nostro Pianeta, ma tra poco, forse, anche nello Spazio. Servirebbe forse una regolamentazione il più possibile condivisa a livello mondiale. L’analisi di Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale

La costruzione dell’astronave Starship con cui Elon Musk vuole colonizzare Marte, prosegue tra alti e bassi. L’ultimo test di volo, giorni fa, il terzo in pochi mesi, si è risolto con l’esplosione al suolo del prototipo, che però aveva effettuato con successo il decollo e la salita sino a 10 chilometri di altezza, per poi rientrare a terra dopo sei minuti. Nonostante tutto, il test ha avuto aspetti positivi, perché il decollo, la salita in quota e soprattutto il rientro sono stati effettuati in modo stabile, quindi una volta corretti i difetti progettuali – e i test anche distruttivi servono proprio a questo – la Starship dovrebbe diventerà realtà.

Infatti, Elon Musk ha subito twittato: “vedremo molti altri test nelle settimane e nei mesi a venire, poiché stiamo già costruendo molti altri prototipi e ci stiamo concentrando sul primo modello di astronave Super Heavy”. Ciò che interessa qui sottolineare è però un tema apparentemente diverso seppur legato all’esplorazione spaziale di SpaceX. Si tratta dell’uso dei robot di nuova concezione (ne abbiamo già parlato qui). Anche questa volta, sulla rampa di Boca Chica in Texas dove la Starship era appena esplosa, è stato visto aggirarsi il robot quadrupede Spot, che ispezionava i rottami con il suo muso dotato di telecamere e sensori.

Poiché l’avvicinamento ai razzi esplosi può essere molto pericoloso per i fumi tossici sprigionati, il robot effettua un prezioso lavoro che gli umani non potrebbero fare, raccogliendo dati e immagini che invia in tempo reale a un centro di controllo remoto. SpaceX è stata tra le prime aziende ad acquistare il robot quadrupede, che ha ribattezzato Zeus, e non ha mai risposto alle richieste di chiarimenti su quali fossero le sue funzioni di utilizzo. Spot è prodotto dalla Boston Dynamics un’azienda con sede a Waltham, a pochi chilometri di distanza dal Massachusetts Institute of Technology, specializzata nella produzione di robot intelligenti tra cui spicca l’umanoide Atlas che, a nostro avviso, potrebbe sedere tra qualche anno nell’abitacolo delle stesse astronavi Starship. Oppure, potremmo vederlo in giro per le nostre strade. Se questa considerazione sembra esagerata, è invece notizia recente che, a New York City, Spot è già ampiamente utilizzato dal Dipartimento di Polizia per pattugliamenti in orari notturni o in situazioni rischiose.

Il suo impiego ha avuto un salto di qualità, come riporta il New York Times, quando un Digidog (così è stato chiamato il robot poliziotto) ha partecipato a un’irruzione in un appartamento del Bronx durante un sequestro a scopo di rapina. Ovviamente, la sua partecipazione è stata di supporto passivo riprendendo immagini (ottiche e infrarosso) e “sentendo” l’ambiente con i sensori di movimento. Però, in un prossimo futuro potrebbe anche fare altro.

Lo scorso Natale, la Boston Dynamics ha collezionato centinaia di milioni di visualizzazioni su YouTube con un videoclip divenuto virale in cui i suoi robot ballano in perfetta coordinazione una canzone funky all’interno di un magazzino. L’azienda ha impiegato più di dieci anni per sviluppare i robot a bilanciamento dinamico con una tecnologia sviluppata presso il Mit. Inizialmente, ha ricevuto finanziamenti anche dall’agenzia militare Darpa, poi è stata acquistata nel 2013 da Google, nel 2017 è stata venduta a Softbank e infine l’anno scorso è passata nelle mani di Hyundai. Se il videoclip natalizio del ballo robotizzato ha fatto sorridere molti (e terrorizzare tanti altri), qualche giorno fa è stato postato su internet un video amatoriale dove si vede uno Spot telecomandato a distanza che, all’interno di una finta galleria d’arte, dipinge una parete grazie a un fucile a vernice montato sul dorso. Pare che abbia funzionato anche abbastanza bene.

Inutile dire che la Boston Dynamics abbia subito dichiarato: “Condanniamo la rappresentazione della nostra tecnologia in qualsiasi modo che promuova violenza, danno o intimidazione. La nostra missione è creare e fornire robot sorprendentemente capaci che ispirino, delizino e abbiano un impatto positivo sulla società”. In teoria, chiunque potrebbe acquistare Spot pagando online 75mila dollari, e poi, una volta scartato il pacco, potrebbe montarci sopra un’arma. Ovvio, che una macchina del genere sia destinata a interessare sempre di più le forze di sicurezza e difesa, come dimostra il caso della polizia newyorchese. Ma crescono anche i problemi etici e normativi.

In effetti, il Consiglio comunale di New York aveva approvato lo scorso luglio il Public Oversight of Surveillance Technology Act per rinforzare il quadro normativo delle forze di polizia in funzione delle nuove tecnologie, e rendere più trasparente l’uso dei nuovi strumenti come appunto il Digidog. È indubbio che i temi etici che coinvolgono queste nuove tecnologie sono tanti, e sono applicabili non solo per quanto riguarda le applicazioni terrestri, ma anche per quelle spaziali perché, lo ripetiamo, non passerà molto tempo che i robot verranno mandati in orbita.

L’esplorazione dello spazio per la sua caratteristica di alto impatto mediatico riesce a focalizzare non solo interesse, ma anche ciò che definiremmo “consuetudine” e finanche “approvazione” dell’opinione pubblica, e ciò potrebbe aiutare l’impiego delle tecnologie robotiche dotate di intelligenza artificiale. Immaginiamo per esempio che tra pochi anni venga realizzata una missione sul pianeta Marte in cui gli astronauti fossero dei robot umanoidi il cui obiettivo sia quello di testare, per esempio, i cosiddetti “Human Health Monitoring Status” e “Human Functional Interface”, cioè quegli ambiti bio-tecnologici in cui misurare in condizioni reali ciò che proverebbe un essere umano a milioni di chilometri da Terra.

Chiunque si dichiarerebbe favorevole a un utilizzo di un robot per quest’attività, magari sognando che presto un essere umano possa vivere la stessa esperienza e portare idealmente tutti noi a visitare il Pianeta rosso. Però, le implicazioni di questa operazione sarebbero anche una progressiva accettazione del ruolo delle macchine robotiche nei diversi settori di attività umane, seppur inizialmente temperate da motivazioni condivise perché legate all’esplorazione dello spazio, attività con un indubbio effetto di trascinamento emotivo e ispirazionale. “L’intelligenza artificiale è la nostra più grande minaccia esistenziale”, queste le parole di Elon Musk durante un’intervista all’Aero Astro Centennial Symposium che si tenne nel 2014 proprio al Mit. E forse, subito dopo, è andato a prenotare il suo esemplare di “Zeus”.


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