Il senatore repubblicano Mitt Romney invoca il boicottaggio economico e diplomatico delle Olimpiadi Invernali di Pechino dell’anno prossimo. Al posto degli americani, Biden mandi dissidenti e leader delle minoranze represse da Pechino, scrive
Boicottare economicamente e diplomaticamente le Olimpiadi Invernali che si terranno a Pechino nel febbraio 2022. La proposta arriva dal senatore Mitt Romney, che prima di essere governatore del Massachusetts, candidato presidenziale del Partito repubblicano nel 2012 contro il democratico Barack Obama e uno dei più accesi critici “interni” di Donald Trump, era stato a capo del Comitato olimpico dei Giochi di Salt Like City del 2002.
“Vietare ai nostri atleti di gareggiare in Cina è la risposta facile, ma sbagliata”, ha scritto il senatore Romney sul New York Times. “I nostri atleti si sono allenati per tutta la vita per questa competizione e si sono preparati per essere al massimo nel 2022. La risposta giusta è un boicottaggio economico e diplomatico delle Olimpiadi di Pechino. Gli spettatori americani – oltre alle famiglie dei nostri atleti e allenatori – dovrebbero restare a casa, evitandoci di contribuire agli enormi incassi che il Partito comunista cinese farà da hotel, pasti e biglietti”.
E ancora: “Dimostriamo il nostro ripudio degli abusi della Cina in un modo che danneggerà il Partito comunista cinese piuttosto che i nostri atleti americani: riduciamo le entrate della Cina, mettiamo a tacere la loro propaganda ed esponiamo i loro abusi”. Piuttosto, suggerisce al presidente Joe Biden, gli Stati Uniti dovrebbe mandare dissidenti cinesi, leader religiosi e rappresentanti delle minoranze etniche.
È la difesa dei diritti umani a muovere il senatore Romney, il suo editoriale arriva a poche settimane dalla decisione dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo di definire le politiche cinesi contro la minoranza uigura nello Xinjiang “genocidio” e “crimine contro l’umanità”. Dichiarazione che ha incassato il sostegno anche del successore a capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken. Inoltre, a inizio febbraio 180 organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani – alcune delle quali avevano già protestato durante le Olimpiadi di Pechino nel 2008 – avevano invitato al boicottaggio.
La scorsa settimana Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva dichiarato che qualsiasi tentativo di boicottaggio sarebbe stato “destinato al fallimento”. Poi aveva aggiunto: “La Cina respinge fermamente la politicizzazione dello sport e si oppone all’uso di questioni relative ai diritti umani per interferire negli affari interni di altri Paesi”.
La seconda parte di quest’ultima dichiarazione non rappresenta nulla di nuovo: più volte Pechino ha definito le preoccupazioni occidentali per i diritti umani a Hong Kong, in Tibet, nello Xinjiang o a Taiwan come interferenze straniere. Basti pensare che alle limitazioni imposte nell’accodo sugli investimenti con l’Unione europea sul settore della cultura e sui finanziamenti di Ong e in sondaggi: paletti posti, come scrivevamo su Formiche.net, per evitare che quel patto si trasformi in uno strumento delle cosiddette interferenze straniere.
Quanto meno curiosa è, invece, la prima parte della dichiarazione del diplomatico cinese sulla “politicizzazione dello sport”. Come notavano su queste pagine alcune settimane fa, dopo le proteste degli atleti nel 2020 per il movimento Black Lives Matter, il Comitato olimpico internazionale sta riflettendo sull’articolo 50 della Carta olimpica che bandisce l’attivismo politico dai Giochi. Non è escluso che possa essere rivisto, scelta che avrebbe inevitabili ricadute sulle Olimpiadi di Pechino.
Ma c’è un altro elemento che lega Olimpiadi e politica. Infatti, come riportava Axios, l’elevato costo dei Giochi per chi li ospita, in rapida crescita dalla seconda metà del Novecento secondo il Council on Foreign Relations, fa sì che semper più spesso le città occidentali si oppongano all’idea di ospitare i Giochi favorendo così regimi autoritari come Cina e Russia. Che hanno tutto l’interesse a sfruttare simili occasioni di propaganda internazionale.
L’anello debole, però, sembra essere proprio quel Comitato olimpico internazionale chiamato a ripensare l’articolo 50: “Mantenere buoni rapporti di lavoro con i governi autoritari aiuta il Cio a garantire il futuro del suo principale motore di entrate, i Giochi olimpici, garantendo così il proprio futuro”, notavano Thomas Könecke e Michiel de Nooij in uno studio del 2017 pubblicato sul Current Issues in Sports Science.