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L’Italia tornerà a vincere all’estero. Ecco dove e perché. Parla Alfonso (Simest)

Intervista al ceo di Simest, polmone dell’export italiano nel mondo: la pandemia ha ridisegnato i mercati e riscritto nuove regole, in futuro bisognerà puntare ai contesti più dinamici come Medio Oriente, India e Sud America. La Cina non sarà più la fabbrica del mondo. L’Italia esporta benessere e saper vivere, elementi di cui il globo non può fare a meno

La pandemia cambia il mondo, i suoi equilibri e inevitabilmente i mercati. Alla fine vincerà chi sarà chi sarà più attrezzato e avrà saputo adattarsi al cambiamento. Per le imprese italiane e il made in Italy si tratta di una sfida non da poco, ma che vale la pena accettare. Le munizioni non mancano, basta solo saperle utilizzare al meglio. Una di queste è Simest, la società di Cassa Depositi e Prestiti che, grazie a finanziamenti agevolati per le imprese che esportano e al sostegno nel capitale delle stesse a mezzo partnership, insieme a Sace funge da polmone per il sistema industriale tricolore che vuole competere all’estero.

Perché servirà tutta la lungimiranza possibile e una buona potenza di fuoco per ritrovare la giusta posizione in uno scacchiere globale stravolto da un anno e mezzo di pandemia. Formiche.net ne ha parlato con Mauro Alfonso, dal dicembre del 2019 ceo di Simest, in tandem con il presidente, Pasquale Salzano.

Alfonso, la pandemia ha ridisegnato mercati e relativi baricentri di crescita. Quali saranno i contesti più tonici e dinamici per le imprese italiane una volta sconfitto, definitivamente, il virus?

Vorrei fare prima una piccola premessa. Oltre a ridisegnare i campi di gioco, la pandemia ha cambiato il paradigma di sviluppo. Ci sarà un nuovo ordine mondiale, con le catene del valore che verranno smontate e rimontate laddove c’è più domanda. Questo vale soprattutto per l’industria. Tutto ciò ci porta a una prima conclusione e cioè che il concetto di globalizzazione verrà un po’ meno e si tornerà alla regionalizzazione delle attività economiche. Il concetto di internazionalizzazione cambierà, ridimensionandosi su delle macro-aree continentali.

Possiamo fare un esempio?

Assolutamente. Pensiamo alla Cina. Il concetto di Cina come fabbrica del mondo con ogni probabilità verrà meno, per una serie di ragioni. La prima è che, al netto della pandemia, negli ultimi decenni l’economia cinese è cresciuta molto e con essa la classe media, che prima non c’era. Il costo del lavoro è conseguentemente salito, annullando il vantaggio competitivo che finora ha sostenuto l’economia cinese. Tanto è vero che Pechino ha cominciato a delocalizzare. Insomma, la Cina si sta riposizionando su nuovi equilibri. Tornando alla sua domanda iniziale, tutti i mercati del mondo potranno tornare tonici, l’importante è che le aziende italiane siano pronte ad affrontarli.

Ci sono delle aree che hanno maggiori probabilità di tornare al normale tasso di crescita prima delle altre?

Certamente le aree in via di sviluppo. Penso al Medio Oriente, agli Emirati Arabi e al Sud America, come la Colombia. E poi l’India. Si tratta di mercati in cui, rispetto ad altri contesti, ci sono potenzialità di crescita maggiori, oltre la media.

Alfonso, le imprese italiane stanno uscendo dalla crisi pandemica profondamente indebolite. Come è possibile attrezzarle di nuovo per tornare competitive nei grandi scacchieri commerciali?

Forse ho un’opinione un po’ forte su questo. Chiaramente è in atto uno shock profondo, ma chiediamoci se, per un sistema industriale in affanno da anni come il nostro, sia preferibile uno shock che impone un improvviso e profondo ripensamento o una lenta e progressiva perdita di competitività. Direi la prima soluzione: lo shock può diventare un’opportunità se si riescono a cogliere gli spunti per il miglioramento. Per farlo, si devono seguire dei trend inequivocabili, chiavi di volta  della crescita e della competitività. Sto parlando di sostenibilità e digitalizzazione, vantaggi competitivi che le imprese devono acquisire nella competizione per il prossimo futuro. Parliamoci chiaro, questa crisi impone alle imprese, dall’acciaieria alla pizzeria, di uscire dalla confort zone e ripensare il business, a partire appunto da digitalizzazione e sostenibilità: fattori questi determinanti, tra le altre cose, per l’accesso al credito. In più non si deve perdere di vista l’occasione rappresentata dalle operazioni di M&A.

Può spiegarsi?

La necessità di fondersi, di aggregarsi, per acquistare massa critica e spalle larghe sui mercati. Non c’è mai stato un momento migliore di questo nella storia per crescere per linee esterne.

Veniamo a Simest. Il fondo per la finanza agevolata si è rivelato un grande successo, al punto che le domande per accedere agli aiuti sono state bloccate. Per il futuro si prevedono nuove versioni di questo strumento?

Simest opera con due mani. Da una parte c’è la finanza agevolata, che quest’anno ci ha dato delle soddisfazioni enormi. Dall’altra la nostra prerogativa nell’entrare nel capitale delle aziende con una quota non di controllo, per aumentarne la competitività sui mercati internazionali. Un’azione molto importante, perché si tratta di un intervento strutturale e molto strategico. In questo momento stiamo lavorando affinché questo strumento di sviluppo diventi un vero motore del Pil e della crescita e possa adattarsi al meglio in uno scenario internazionale indubbiamente mutato.

In questo momento è facile pensare che vada tutto male, tutto allo scatafascio. Ma è davvero possibile scorgere delle opportunità per le imprese italiane in questa crisi?

Il made in Italy ha un’opportunità storica. Questa pandemia ci insegna che il benessere, il saper vivere, la qualità della vita sono elementi essenziali. E l’Italia questi elementi li ha più e meglio di tutti. Noi possiamo proporre all’estero il nostro approccio alla vita, sotto forma di servizi e prodotti. E poi possiamo diventare un polo turistico di eccellenza, di alto profilo. Queste sono le opportunità in mezzo alla tempesta.

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