Il virologo e direttore sanitario dell’Irccs – Istituto ortopedico Galeazzi di Milano – invita alla cautela, il vaccino russo non va distribuito prima dell’ok di Ema e Aifa. In Russia solo il 6% della popolazione lo ha usato e finora abbiamo solo due articoli scientifici a riguardo. Ue e Big Pharma? Polemica inutile, Biden ha risolto in fretta
Si fa presto a dire Sputnik V. Sul vaccino anti Covid-19 russo si divide la politica italiana, fra chi invita alla prudenza e vuole aspettare l’autorizzazione delle agenzie europea e italiana del farmaco, l’Ema e l’Aifa, e chi chiede a gran voce di avviare la produzione e la distribuzione nello stivale. In verità, contrariamente a una certa vulgata (e propaganda), anche la comunità scientifica non ha emesso un verdetto unanime. Due giorni fa, ad esempio, la presidente del board dell’Ema, Christa Wirthumer-Hoche, ha detto che autorizzare oggi il vaccino fabbricato dal centro Gamaleya di Mosca è come giocare alla “roulette russa”.
“La verità è che fino a poco tempo fa non sapevamo niente di questo vaccino, e oggi sappiamo molto poco – commenta con Formiche.net Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’Irccs Istituto ortopedico Galeazzi di Milano – ad oggi abbiamo a disposizione un primo studio effettuato su 70 persone e un articolo sulla rivista Lancet, serve qualcosa di più consistente per metterlo in circolazione”.
Mercoledì l’azienda farmaceutica italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech ha siglato un accordo con il Russian Direct Investment Fund (Rdif), fondo russo che ha in carico la distribuzione del vaccino all’estero, per produrlo nei suoi stabilimenti di Caponago, a Monza. La notizia è stata accolta con entusiasmo da una parte del centrodestra, in particolare dal leader della Lega Matteo Salvini, che da giorni chiede di acquistare Sputnik V sulla scia di quanto fatto dalla Repubblica di San Marino.
“Ben venga la notizia su Adienne, anche se parliamo di quantità simboliche. Ma, ripeto, prima di metterlo in circolazione bisogna aspettare l’esito di Ema e Aifa. Non sappiamo con certezza se ha superato la Fase 3, perché non c’è stata un’ispezione dell’Ema, e dobbiamo capire qual è l’effettiva capacità produttiva russa, se ne parla tanto ma nessuno spiega perché, ad esempio, in Russia solo il 6% della popolazione si sia vaccinato”, riprende Pregliasco. Il sospetto, in assenza di un quadro chiaro, “è che si tratti anche di uno strumento geopolitico per ingraziarsi le nazioni della sfera di influenza russa”.
Sputnik V, dalle informazioni emerse finora, è comunque “un vaccino con ottima tollerabilità e un alto valore di protezione”, anche se presenta “una complicazione sul piano organizzativo, perché si tratta di due vaccini con adenovirus diversi tra la prima e la seconda dose”. Mentre si infiamma il dibattito sul vaccino russo, il governo Draghi, con il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti e la Commissione Ue, lavora a un piano per riconvertire una parte dell’industria italiana e iniziare a produrre in Italia i vaccini già approvati.
“Nell’immediato i vaccini per l’infialamento ci sono, abbiamo già allocato 250mila dosi di AstraZeneca – commenta Pregliasco – ma l’operazione di riconversione potrebbe richiedere sei mesi, con la grande incognita delle varianti all’orizzonte”. Per Pregliasco è immotivata la polemica sul braccio di ferro fra Ue e Big Pharma per il ritardo delle consegne. “Qui siamo di fronte a una gara di velocità, a una forma di sovranismo vaccinale. Vince chi arriva primo, e l’esperienza americana insegna. Il presidente Joe Biden ha offerto una quantità enorme di denaro alle aziende con investimenti mastodontici per iniziare subito la produzione. E i risultati si vedono”.