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Sputnik V made in Corea, India e Cina. Così si svela la campagna politica russa

La Russia continua a promuoversi come esportatore di “un vaccino per tutta l’umanità”, ma le dosi non bastano neanche per vaccinare un numero sufficiente dei suoi cittadini. Per questo si è scatenata la propaganda: per trovare siti produttivi all’estero che diano la precedenza al farmaco russo, promesso un po’ a tutti, e non a quelli americani, europei o cinesi

Continua la corsa al vaccino. Il Fondo russo per gli investimenti diretti ha annunciato che è stata siglata l’intesa per la produzione di 200 milioni di dosi di Sputnik V all’anno con il colosso indiano Virchow Biotech.

La condivisione della tecnologia per la produzione del farmaco russo è prevista per il secondo trimestre dell’anno, e farà partire la fabbricazione, tanto attesa da Mosca. La scorsa settimana, il fondo russo ha annunciato un accordo con la impresa biofarmaceutica indiana Stelis per la produzione di altri 200 milioni di Sputnik V.

E poi, altri 60 milioni di dosi saranno prodotte in Cina, come conferma un tweet pubblicato sull’account ufficiale di Sputnik V:

In un comunicato diffuso dal fondo si legge che “le capacità di Virchow Biotech aiuteranno a facilitare i rifornimenti globali di Sputnik V ai soci internazionali”, quelli che hanno già approvato il vaccino e sono in attesa di riceverlo.

Perché, come ha scritto qualche settimana fa Formiche.net, la Russia ha promesso di “salvare” molti Paesi con il suo farmaco, ma al momento la distribuzione è scarsa, non essendoci una produzione sufficiente. Per questo, il fondo ha messo in moto un’operazione di vantaggiosi incentivi economici per le aziende che possono fabbricare il farmaco nel proprio territorio. Ad oggi, 54 Paesi (con una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone) hanno autorizzato Sputnik V.

Ma anche se il Cremlino presenta il vaccino come un trionfo della sua ricerca scientifica, poco si parla della campagna di vaccinazione che sta avvenendo in Russia, in modo molto lento e soprattutto con una produzione delocalizzata.

Il New York Times sostiene che “il governo russo ha appaltato la produzione di Sputnik V a una società sudcoreana, che ha già inviato il vaccino in Russia”.

A dicembre, la Russia ha importato Sputnik V prodotto dall’impresa GL Rapha della Corea del Sud. Le dosi sono arrivate su due aerei cargo di Asiana Airlines. I coreani prevedono di produrre altri 150 milioni di dosi entro il 2022. E l’accordo con la società indiana Virchow Biotech sarà, infatti, per la produzione delle dosi di cui ha bisogno la Russia.

Shri Varma, ambasciatore indiano in Russia, ha dichiarato che il suo Paese è “di fronte alla prospettiva di aumentare questa cooperazione nel campo dei vaccini […] Prevediamo un’importante diffusione del vaccino Sputnik in India, utilizzando le capacità di produzione indiane per l’India, per la Russia e per il mondo intero”.

Questo meccanismo di condivisione della tecnologia, e importazione delle dosi, è molto riservato perché potrebbe danneggiare la narrativa di salvataggio dei russi dei Paesi più svantaggiati e con meno risorse economiche da dedicare alla lotta alla pandemia.

“Le importazioni, che dovrebbero aumentare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, potrebbero aiutare la Russia a superare l’implementazione della vaccinazione a livello nazionale – si legge sul quotidiano americano”.

Rispetto agli Stati Uniti e molti Paesi europei, la Russia è rimasta indietro in quanto alla campagna di vaccinazione. Solo il 4,4% dei russi è immunizzato. Il governo ha riconosciuto la scorsa settimana, per la prima volta, che scarseggiano i vaccini.  E sarebbe questa mancanza di dosi la causa della tardiva vaccinazione dello stesso Putin: dopo l’immunizzazione del presidente sarebbe partita la corsa al vaccino tra i russi.

Tuttavia, Mosca continua a presentarsi agli occhi del mondo come esportatore altruista. Il sito ufficiale del farmaco promuove Sputnik V come “un vaccino per tutta l’umanità”, ma bisognerebbe aggiungere “o per quanto basta”.


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