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La nave è libera! Ma il commercio globale non sarà più lo stesso. Ecco perché

Il cargo che ha paralizzato l’arteria del commercio globale è stato disincagliato e rimesso al centro del canale di Suez. Ma le grandi industrie si sono già regolate di conseguenza, rivedendo i processi di approvvigionamento. Mentre la Cina…

Forse nulla sarà come prima. O forse il cambiamento era già in atto da tempo e l’incidente nel Canale di Suez (che ora pare risolto) che ha paralizzato il 12% del commercio su mare mondiale, ha accelerato il tutto, fino a disegnare un nuovo assetto globale nel commercio. E adesso si dovrà immaginare il trasporto merci planetario in modo diverso.

 

Il blocco del Canale di Suez, che ha paralizzato fino 9,6 miliardi di dollari di merci al giorno, se si considera le navi ferme all’imbocco del canale, accelererà il passaggio globale dalle catene di approvvigionamento just-in-time, impattando in modo strutturale sull’organizzazione delle grandi industrie e ovviamente sul sistema dei trasporti. Lo dicono una serie di fattori.

Tanto per cominciare, a stretto giro potrebbe cambiare la tempistica per la consegna delle merci, con i grandi giganti del commercio pronte a rivedere catene le rispettive catene di approvvigionamento, ripensando la loro dipendenza dal just-in-time, dove cioè la merce viene consegnata alle fabbriche nel momento in cui viene richiesta. Un processo che riduce giacenze e sprechi di magazzino, ma come nel caso dell’incidente di Suez, può costare caro in termini di incertezza. Se infatti una determinata materia prima, quando richiesta, deve essere caricata su un cargo e spedita, si va inevitabilmente incontro a un aumento del rischio, come visto in questi giorni.

Di qui un cambio radicale di approccio, come spiegato al Financial Times da  Soren Skou, amministratore delegato di AP Moller-Maersk, la più grande compagnia di navigazione del mondo: le aziende stavano già cambiando le loro catene di approvvigionamento adottando catene di fornitura just-in-case, con livelli di inventario molto più elevati per evitare di essere colte di sorpresa: la merce è già pronta all’uso, magari persino in loco, senza il bisogno di spedirla. I produttori, insomma, devono mantenere grandi scorte di forniture, parti, risorse di magazzino e lavoratori extra per soddisfare le contingenze di produzione. Un modello quasi pre-globalizzazione.

D’altronde, la pandemia ha fatto da apripista. Molte aziende hanno cominciato ripensare i loro sistemi di fornitura dopo che i blocchi dettati dal Covid-19 hanno portato a interruzioni significative nelle catene di approvvigionamento just-in-time. Ovviamente molti analisti  hanno posto l’accento sull’onere di detenere scorte extra per i fornitori al fine di aggirare i rischi del trasporto.

Tutto questo proprio nei giorni in cui il presidente americano Joe Biden ha annunciato una verifica della vulnerabilità delle stesse catene di valore in quattro settori fondamentali: farmaceutico, terre rare, semiconduttori e batterie ad alta capacità. Lo stesso ordine esecutivo dispone una revisione più lunga della situazione delle filiere in altri campi quali la difesa, la sanità pubblica, le tecnologie delle comunicazioni, l’energia, i trasporti e la produzione alimentare.

Poi c’è il secondo effetto Suez sul commercio mondiale. Stavolta il fronte è quello cinese. Le grandi industrie del Dragone starebbero infatti cercando di aggirare i ritardi nelle spedizioni, ricorrendo al trasporto via terra, a discapito di quello marittimo, dando vita a un forte aumento del trasporto ferroviario transcontinentale, decisamente più sicuro di quello su mare.

Basti pensare che più di 2 mila treni merci hanno viaggiato dalla Cina all’Europa nei primi due mesi di quest’anno, il doppio rispetto all’anno precedente, quando il coronavirus ha colpito per la prima volta e prima dell’incidente di Suez. Per questo adesso, Pechino avrebbe deciso di usare più treni e meno navi.

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