Jihad, mafie, immigrazione clandestina e prevenzione: l’attenzione resta altissima. Ecco cosa dice la relazione annuale dei Servizi al Parlamento per il 2020 sul terrorismo jihadista
L’Isis non è morto, si riorganizza soprattutto in Siria, in Iraq e in diverse aree africane mentre in Europa il rischio resta quello dei lupi solitari: l’attenzione, dunque, resta altissima. È l’estrema sintesi sul terrorismo jihadista contenuta nella relazione annuale dei Servizi al Parlamento per il 2020.
IL JIHAD IN EUROPA
Gli attentati dell’anno scorso hanno confermato la natura endogena della minaccia: più attacchi rispetto al 2019 con meno vittime portati a termine da soggetti istigati dalla campagna mediatica incessante sul web. La morte di Abu Bakr al Baghadi e la sconfitta militare del Califfato non hanno diminuito la propaganda contro gli “infedeli” e l’uso delle armi più semplici, come i coltelli, ha facilitato gli attacchi avvenuti a Londra in febbraio, a Dresda e a Nizza in ottobre. L’intelligence rimarca la particolarità dell’attentato del 2 novembre a Vienna dove il terrorista, pur condannato per aver tentato di unirsi ai jihadisti, era stato rimesso in libertà. Quell’episodio, inoltre, ha dimostrato i collegamenti con circuiti criminali per facilitare il reperimento di armi, documenti falsi e soldi. La prevenzione ha consentito di sventare un attentato contro installazioni americane in Germania mentre numerose segnalazioni sono arrivate a vari Paesi su diverse pianificazioni. Costante l’attenzione ai foreign fighters come dimostrano i tre arresti in Spagna, mentre grande preoccupazione viene dal territorio balcanico come “potenziale incubatore della minaccia terroristica in direzione dello spazio Schengen”.
LA PREVENZIONE IN ITALIA
L’Italia è esposta come passaggio verso altre zone europee. L’intelligence e l’antiterrorismo continuano a monitorare soggetti a rischio e, pur con la sospensione tra marzo e giugno a causa della pandemia, l’anno scorso sono state espulse 59 persone, in gran parte tunisine e marocchine, dopo i 98 provvedimenti del 2019 e i 126 del 2018. Nella relazione si spiega che “in Italia ha continuato a registrarsi una certa adesione al jihadismo attraverso il web, dove vengono diffusi articoli, infografiche, video di propaganda in lingua italiana” oltre a “immagini minatorie di monumenti simbolo del nostro Paese e del Cristianesimo”. Il rischio è sempre il solito, cioè l’effetto su soggetti influenzabili sia residenti che in transito. Per esempio, nel novembre scorso un italiano di 42 anni fu arrestato con l’accusa di auto-addestramento con finalità terroristiche perché scaricava materiale jihadista.
Carceri e moschee restano ambienti sensibili. C’è chi è stato espulso dopo aver scontato la pena e chi si è radicalizzato in carcere: nella relazione si esprime il timore per “coloro che, pur avendo scontato la propria pena, conservano un forte risentimento e propositi ritorsivi nei confronti dell’Italia e quanti, una volta tornati in libertà, tendono a recuperare contatti con ambienti criminali o radicali”. Un attento monitoraggio è proseguito anche su imam o predicatori che svolgono un’opera di indottrinamento cercando di spostare su posizioni radicali i frequentatori di luoghi di aggregazione islamici. L’anno scorso è stato espulso un imam che aveva manifestato posizioni estremiste in luoghi di culto del Nord Italia.
IL JIHAD GLOBALE
Nonostante la sconfitta militare, l’Isis ha intensificato l’attività in Siria e in Iraq e si sta organizzando con articolazioni regionali anziché ricostituire uno Stato territoriale. Di fatto, è di nuovo in grado di spostare i propri combattenti; sostenersi finanziariamente grazie al traffico di merci, droga, petrolio e armi; reclutare giovani nei campi profughi. Fortissima la presenza in Africa: gli attacchi in Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso e nella regione del Lago Ciad sono opera dell’Iswap (Islamic State West Africa Province) e dell’Isgs (Islamic State Greater Sahara), mentre in Mozambico c’è l’Iscap (Africa centrale). L’instabilità di un’enorme area africana è aumentata anche per la competizione con al Qaeda nel Sahel. In Afghanistan (regione per noi importante vista la presenza della missione Nato) l’Islamic State Khorasan Province ha pianificato attacchi letali e sta rilanciando l’attività mediatica anche con la rivista online Voice of Hind che si aggiunge alla storica agenzia centrale Amaq.
Anche al Qaeda non demorde nonostante la morte di Droukdel, capo di al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e di al Raymi, alla guida dell’organizzazione nella Penisola arabica. La centrale di comando resta nell’area tra Iran, Afghanistan e Pakistan, ma la rete si estende nel Corno d’Africa, nel Sahel, in Nigeria e nella Penisola arabica.
L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA DA TUNISIA E LIBIA
L’anno scorso c’è stato un aumento degli arrivi di immigrati, tranne che nel periodo primaverile, anche a causa dell’aggravamento della situazione economica e sanitaria nei paesi di provenienza. Nella relazione dell’intelligence si evidenziano capacità manageriali nei trafficanti, capaci di modificare strategie e rotte in particolare in Tunisia dove si fa “pubblicità” anche sui media con notizie false sulla facilità di ottenere permessi di soggiorno o sanatorie in Italia. Criminali “indipendenti” tunisini lavorano nell’area di Sfax dove arrivano via terra dalle zone libiche confinanti. Da lì si sono intensificate le partenze con piccole barche, i cosiddetti sbarchi autonomi, mentre dall’Algeria arrivano in Sardegna con gommoni semirigidi vista la poca distanza. Anche i trafficanti libici non usano più le navi-madre usando piccole barche dopo aver insegnato ai migranti le rotte da seguire. Le principali aree di partenza restano quelle a ovest di Tripoli.
Sulla rotta del Mediterraneo orientale, invece, dalla Turchia partono verso Grecia e Italia barche a vela con skipper russofoni dichiarando alla partenza di essere diretti in Africa. Più a nord, la Bosnia Erzegovina si è confermata un hub dei flussi che arrivano a Trieste attraversando la Slovenia: i campi profughi in territorio bosniaco sono considerati a rischio sia per i contagi da Covid-19 che come potenziale catalizzatore per criminali ed estremisti. I Servizi, comunque, escludono un ricorso sistematico ai flussi migratori per infiltrare jihadisti anche se resta il rischio di radicalizzazione islamista nei centri di accoglienza.
L’ATTIVISMO DELLE MAFIE
La criminalità organizzata sta cercando di trarre il massimo profitto dalla pandemia sia condizionando imprenditori in difficoltà sia cercando di intercettare finanziamenti nazionali ed europei. La ‘ndrangheta resta la mafia più pericolosa, molto attiva nel ciclo dei rifiuti, nel settore sanitario (come gestione delle farmacie e centri specialistici) e nelle bioenergie, settore nel quale punta ad acquisire il controllo dell’intera filiera. Cosa nostra palermitana, creando imprese pulite con il riciclaggio, ha aggiunto i settori immobiliari, dei trasporti, delle assicurazioni, della ristorazione e dell’abbigliamento a quelli tradizionali di droga, gioco online, estorsioni e contrabbando di idrocarburi. La camorra è più debole dopo le tante azioni di contrasto e cerca di infiltrarsi nell’immobiliare, nella grande distribuzione e nell’edilizia con appalti in Italia e all’estero. La criminalità pugliese, invece, punta alle estorsioni e ad acquisire finanziamenti pubblici oltre a collaborare con criminali balcanici. Tra le organizzazioni straniere, quella nigeriana resta la mafia più pericolosa e strutturata: non solo droga e immigrazione clandestina, ma anche evasione fiscale e frodi informatiche. I cinesi si stanno concentrando anche sulla ricezione alberghiera puntando alla domanda turistica dalla Cina, mentre i criminali dell’Est europeo preferiscono il settore del gioco e quelli sudamericani puntano alle piazze per lo spaccio di droga.
EVERSIONE ED ESTREMISTI IN ITALIA
La pandemia ha unito gli opposti, dando il via a una campagna propagandistica di protesta soprattutto sul web che ha unito anarco-insurrezionalisti, marxisti-leninisti, antagonisti e destra radicale. Gli anarchici hanno inviati messaggi contro la militarizzazione del territorio e contro lo Stato che vuole usare il virus per il controllo sociale. Non sono mancati atti vandalici e sabotaggi di infrastrutture per telecomunicazioni. I marxisti-leninisti hanno rilanciato le teorie rivoluzionarie cercando di pescare nella precarietà del lavoro mentre gli antagonisti hanno provato a connettere la diffusione del virus al progresso tecnologico e ai cambiamenti climatici. La destra radicale, invece, ha avviato campagne di disinformazione con “retoriche ultranazionaliste, xenofobe e razziste” cercando di raccogliere consensi nelle periferie urbane contro la “dittatura sanitaria”.