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Cosa collega terrorismo e populismo. Un saggio totale di Civiltà Cattolica

Padre Alvaro Lobo Arranz nell’ultimo numero in uscita de La Civiltà Cattolica, illustra con una forza sorprendente i problemi del tempo contemporaneo, di questo XXI secolo ormai giunto, come scrive l’autore, alla maggiore età. L’approfondimento di Riccardo Cristiano

Ci sono nuove patologie nel mondo. Due virus che bisogna capire e riconoscere come tali per poterci vaccinare. Sono terrorismo e populismo, eredi illegittimi del nichilismo. La tesi, importantissima per la difesa della democrazia, viene esposta nel nuovo quaderno de La Civiltà Cattolica in uscita a fine settimana da padre Alvaro Lobo Arranz e illustra con una forza sorprendente i problemi del tempo contemporaneo, di questo XXI secolo ormai giunto, come scrive l’autore, alla maggiore età.

È una tesi forte e cruciale per la difesa della democrazia di questo tempo locale e globale. Va dunque esposta seguendo il ragionamento dell’autore, che parte dalla presentazione del terrorismo: “Il virus del terrorismo ha aggredito con forza la Spagna, il Regno Unito, la Norvegia e la Francia, provocando nel 2014 un totale di 44.490 vittime in tutto il mondo. Eppure, sebbene l’impatto in Europa e in America sia stato enorme, oggi le regioni più colpite sono di gran lunga il Medio Oriente, l’Africa e il Sudest asiatico, dove il terrorismo è una realtà cruenta e il bilancio dei morti notevolmente maggiore”. Padre Arranz ricorda che il terrorismo del passato aveva obiettivi chiari e raramente transnazionali. Detto che ovviamente manifesta il desiderio di imporre la sua visione con la violenza, lo ricollega ai totalitarismi del passato, ma ci fa notare che attualmente “si è imposto un terrorismo internazionale con sfumature religiose e culturali, che spesso invade il panorama informativo mondiale tramite organizzazioni come Boko Haram e Isis. Al tempo stesso, in alcuni casi la copertura mediatica è salita alle stelle, e con essa il reclutamento di nuovi terroristi e la diffusione della paura. La nostra epoca, abbagliata dalle reti sociali, condizionata dalla difficoltà a distinguere la verità dall’apparenza – e di conseguenza il bene dal male – e dal disagio esistenziale di troppi giovani, diventa terreno fertile per un fenomeno che può destabilizzare governi e persino democrazie, oltre a causare migliaia di morti. In fin dei conti, non possiamo dimenticare che il terrorismo non è un mero delirio violento e romantico: è un pensiero che trova la sua logica, la sua identità e la sua metodologia nella violenza sistematica”. Una violenza che deve originare nella rabbia.

Il populismo invece è “un fenomeno politico che, seppure in modi diversi, si manifesta sia nell’estrema destra sia nell’estrema sinistra, e progressivamente mina i nostri sistemi di democrazia rappresentativa. Non è una ideologia, ma un modo semplicistico di comprendere la realtà e il gioco politico che, per attecchire, richiede un’ideologia e una collettività scontenta, e che propone sempre soluzioni facili a problemi complessi”. Nella ricostruzione di questa semplificazione del complesso in nome di una scontentezza di fondo colpisce la citazione di Hannah Arendt, che ha presentato “il totalitarismo come un’idea romanticizzata, dogmatizzata e teologizzata di ciò che un Paese, una cultura o una società dovrebbero essere: un’idea per cui morire e far morire altri. Forse in questo momento non ci troviamo di fronte agli stessi sistemi totalitari che sono nati nella vecchia Europa e sono stati esportati in tutto il mondo; ma se non stiamo attenti, ci esponiamo al ripetersi di molte dinamiche simili, le cui conseguenze sono già note a tutti”.

Illustrati così i tratti fondanti degli odierni terrorismo e populismo l’autore ci conduce a capirne il rapporto con il nichilismo partendo da Dostoevskij: perché esiste il male? Perché Dio lo permette? “È logico pensare che nell’indignazione verso la sofferenza troviamo la genesi nichilista, qualcosa che d’altra parte si riscontra sia nel populismo sia nel terrorismo”. Ne emerse la dialettica tra un’autorità che pesa ma unisce e una libertà che si è incapaci di esercitare e sfocia necessariamente nella sottomissione: la scelta del grande scrittore russo tra la dipendenza da criteri esterni alla volontà del soggetto e l’autonomia morale fu per la seconda. Partì di qui la discussione su ciò che sarebbe permesso in assenza di Dio. Tutto? Certamente si tenderà a dire “no”, ma…“Nel momento in cui perdiamo la bussola della bontà e della verità non viene meno soltanto il senso, ma anche il criterio oggettivo per distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che appare da ciò che è vero. Nei tempi di crisi, per qualcuno la verità e il bene subiscono una svalutazione, come il denaro, sicché è tutta la realtà, nel suo complesso, che perde valore. La porta che conduce al nichilismo si apre con Friedrich W. Nietzsche. Se nel ‘Grande Inquisitore’ il filo conduttore era la libertà dell’uomo, in Nietzsche questo ruolo viene attribuito alla volontà debole, e ciò segna a sua volta il passaggio dalla necessità del perdono al risentimento”.

Siamo a uno snodo che ci riguarda direttamente, per comprendere cosa accade a noi e intorno a noi, oggi. Scegliere il nulla? In modo affascinante l’autore spiega: “Il nichilismo di Nietzsche opta per una volontà forte, lasciandosi alle spalle il crollo della morale cristiana, per aprire la strada a un nuovo scenario per l’uomo”, siamo alla volontà che va oltre la ragione, e qui è evidente il legame con quel moto che induce a terrorismo e populismo: “Quella che ne I fratelli Karamazov era la sfida del perdono si trasforma in rancore, elemento che a sua volta appare nel terrorismo e nel populismo”. Il racconto prosegue con la rabbia in Sartre: “Per il filosofo francese, il rancore deve tradursi in una violenza necessaria, una sorta di risorsa terapeutica”. Lo storia dei moderni totalitarismi poteva cominciare, facendo “propri alcuni dei fondamenti del nichilismo e non hanno avuto scrupoli a calpestare la ragione, eliminando milioni di esseri umani, per imporre la loro visione del mondo”.

Il saggio colpisce a fondo stabilendo nella sofferenza il tema decisivo, di fondo, da cui muove il rancore e quindi la violenza: la Grande Depressione innescò i totalitarismi, la miseria innescò il terrorismo, la crisi economica del 2008 i populismi. Ma è lo sviluppo che lascia davvero nudi davanti alla proclamazione di un’analisi profonda: “Questa insoddisfazione genera sfiducia, disagio esistenziale e risentimento verso le persone e, soprattutto, verso le istituzioni. E se non viene riconosciuta, denunciata e incanalata, essa può condurre a una reazione violenta. Nel caso del terrorismo ciò è evidente; tuttavia il populismo tende a ricorrere a un linguaggio diretto, aggressivo e minaccioso, abbastanza lontano dal rispetto e dall’educazione che caratterizzano le democrazie più mature. In questo modo giunge a esacerbare e a dividere l’intera società. La violenza viene vista come unica e ultima possibilità di risposta al rancore, come già proclamava Sartre nella prefazione a I dannati della terra. Proseguendo su questa linea, possiamo vedere come entrambi i fenomeni portino alla lotta degli uni contro gli altri all’interno della stessa società, e gli esempi di polarizzazione sono numerosi: i buoni e i cattivi; i nostri e gli altri. Di solito ci si appoggia su gruppi identitari chiaramente autodefiniti, in lotta contro altri in apparenza opposti e meno definiti: gli autentici patrioti contro i globalisti, i lavoratori contro gli imperialisti, i precari contro gli oligarchi, e così via, secondo una lista infinita, alla quale ogni lingua e ogni società può fornire svariati neologismi. Con l’aggravante che la violenza comporta una forza centripeta – attualmente accelerata dalle reti sociali – che spinge ogni cittadino a prendere posizione su quasi tutti gli aspetti della propria vita, spaccando così la società e rinunciando a quella visione olistica che è essenziale se si vuole avanzare in modo pacifico. L’avversario non diventa solo un rivale politico, ma un nemico da eliminare, perché a volte entrambi i fenomeni – il populismo e il terrorismo – provocano in tutta la realtà odio e risentimento”.

Se dire che il problema è con la verità sembra dipendere dalla teologia, l’autore convince efficacemente indicandoci la forza della non-verità nella negazione dei mutamenti climatici o dei movimenti No-Vax, antiscientifici più che anti-religiosi. In questo però il progresso può aiutare, non danneggiare: lo dimostra l’uso di certi social media, dove un’immagine può affermare una verità parziale, come una carica di polizia,  come assoluta, il regime è repressivo o vessatorio. Siamo al logoramento dello Stato di diritto. La soluzione? Semplificando una sintesi efficace è in questa frase: “Dobbiamo partire da un presupposto fondamentale: non c’è pace senza giustizia. Uno sviluppo integrale e la riduzione delle disuguaglianze sociali è, a livello nazionale come a quello internazionale, il miglior vaccino per prevenire l’insorgere di simili patologie”.

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