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La Web Tax è un abbaglio. E non andrà in porto. La profezia di Maffè

Ma quale saldatura con l’Italia nel nome della tassa sui colossi del web, la furia fiscale dei francesi non porterà a nessuna intesa. Bisogna ripensare il valore aggiunto delle big tech, non picconare i loro fatturati. Un errore che pagherebbero utenti e piccole imprese. L’opinione dell’economista della Bocconi

Web Tax, ancora un giro di boa. Ora l’ultimo miglio verso il traguardo finale, cioè la tassazione dei ricavi dei colossi del web, da Google ad Amazon, passando per Facebook. A stringere ancora di più il bullone, Italia e Francia, i cui rispettivi ministri dell’Economia, Daniele Franco e Bruno Le Maire, si sono incontrati ieri a Roma.

Messaggio di fondo, avanti tutta verso una tassazione delle big tech nei 139 Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dove operano. Possibilmente entro luglio mese in cui dovrebbe vedere la luce un accordo internazionale, con sponda Usa, per tassare i ricavi dei colossi del web. Ma c’è chi su questo ha qualche dubbio. Come Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Sda Bocconi. Che a Formiche.net spiega perché è lecito dubitare di un’intesa finale in estate.

“Partiamo da un presupposto, tassare i ricavi è un errore clamoroso, sarebbe molto meglio prendersela con i profitti se proprio c’è questa smania di colpire i giganti del web. La trovo un’operazione scellerata e sbagliata. Qualcuno si immagina cosa sarebbe stata la pandemia senza Amazon? Una pazzia”, mette subito in chiaro Maffè. “Tutto ciò premesso non credo che si arriverà a un accordo entro luglio, ho dei ragionevoli dubbi.”

Maffè va dritto al punto, quel fronte italo-francese la cui saldatura è stata proprio il vertice al Mef di ieri. “Non è così. La Francia è da sempre molto aggressiva sulla tassazione verso i colossi del web. Ma non credo che l’Italia sia metta in coda alla foga francese. E non è un caso che il ministro Franco, da uomo sapiente quale è ha parlato di ripartizione dei profitti in sede Ocse, che è cosa ben diversa dal tassare il fatturato. E poi, parliamoci chiaro, tassare i ricavi vuol dire trasferire la tassa agli utenti finali, perché se colpisci i ricavi allora alzi il prezzo per l’utente finale, che paga il servizio o il prodotto di più. Per questo imporre un prelievo extra sui ricavi è un atto scellerato.”

Maffè va ancora più a fondo. “Se tassiamo i colossi del web, nessuno verrà a investire qui. Quanti giganti della rete ci sono in Ue? Nessuno, forse dovremmo chiederci perché. Qui il problema vero è un altro. E cioè fare concorrenza a Google&co non tassarli. Invece che invitarli a venire qui a investire li tassiamo, complimenti, così proprio non mettono piede sul suolo europeo. Ma lo vogliamo capire o no che qui bisogna far crescere i piccoli, non colpire i grandi. C’è una bella differenza. Ribadisco, la web tax è un errore, perché è una tassa che pagano le piccole e medie imprese e i consumatori.”

La diagnosi di Maffè è chiara. “Mario Draghi ha detto ieri che questo è l’anno del dare e non del prendere. E allora qualcuno mi dica perché ricavi legali vanno tassati. Se Google mette la sede in Irlanda non è colpa di Google ma della legge irlandese, che va necessariamente cambiata. Le promesse secondo cui si risolve tutto a giugno o a luglio, non stanno in piedi, credo che il dibattito vada in un’altra direzione, e cioè ridistribuire il valore aggiunto di questi colossi e non tassare i loro fatturati. Su questo, alla fine, si troverà un accordo. Il resto sono sogni.”

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