Non basta il Recovery Fund a rimettere in moto l’economia italiana. Serve qualcosa in più. Scarica il XIV rapporto del Centro Studi Economia Reale, fondato e diretta da Mario Baldassarri
L’economia italiana che verrà. A tracciare una rotta ci ha pensato il Centro studi Economia Reale, fondato e diretto da Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia, che nei giorni scorsi ha pubblicato il consueto rapporto, giunto alla quattordicesima edizione.
Ebbene, “l’andamento tendenziale a legislazione vigente indica che, dopo la pesante caduta del Pil del 2020, ci sarebbe un rimbalzo tecnico di ripresa che però si appiattirebbe ben presto verso una crescita asfittica attorno allo 0,…% fino al 2028. Al 2028 non avremmo ancora recuperato il livello di Pil del 2019. La disoccupazione passerebbe dal 10,8% di quest’anno al 10% nel lontano 2026. Sulla disoccupazione occorre inoltre considerare che il tasso effettivo, al lordo della cassa integrazione e del nostro basso tasso di partecipazione, è di 4 punti più alto di quello ufficiale dell’Istat”, si legge nel rapporto.
“L’economia italiana dopo il recupero tornerebbe quindi a crescere a tassi modesti ed asfittici. Il tasso di disoccupazione si ridurrebbe in misura limitata a circa il 9% ma rimarrebbe bloccato su tale livello fino al 2028. In realtà questo risultato non è affatto sorprendente. Un efficace utilizzo dei fondi europei a sostegno di investimenti materiali ed immateriali produce infatti nei primi anni un importante impulso dal lato della domanda che si esaurisce man mano che si esauriscono i fondi da spendere. In realtà il vero obiettivo è quello di agire dal lato dell’offerta aumentando il potenziale di crescita”.
Secondo Baldassarri, “non di solo Recovery Fund può riprendersi strutturalmente l’Italia. Ulteriore impulso potrebbe infatti provenire dalla utilizzazione almeno al 90% dei fondi strutturali del bilancio ordinario europeo 2021-2027, come sempre fatto da PoloniaSpagna-Portogallo. Nei decenni passati li abbiamo usati sempre attorno al 45%. Un ulteriore, più contenuto ma significativo, impulso potrebbe provenire da un recupero dei 35 miliardi di fondi strutturali del bilancio europeo 2014-2020 non 13 13 ancora spesi (si potrebbero recuperare almeno 5 miliardi all’anno nel triennio 2021- 2023). Anche questo aiuta…ma non basta”.
In sintesi, le tre riforme strutturali dopo il positivo impulso alla ripresa “che ci deriverebbe da un uso pronto ed efficiente dei fondi europei, ci porterebbero su un percorso strutturale di sviluppo superiore al due e mezzo per cento, forse attorno al 3% all’anno. Solo così la disoccupazione scenderebbe in modo più consistente ed avremmo un tasso al 6,5% nel 2028 con riassorbimento di cassa integrazione ed innalzamento del tasso di partecipazione. Da tempo si è ormai percepito che le nostre condizioni di finanza pubblica e quindi la sostenibilità del nostro debito pubblico sono fortemente dipendenti dalla crescita economica. I risultati ottenuti dimostrano che usare presto e bene i fondi europei e fare le riforme strutturali sono i due binari che dobbiamo percorrere in parallelo per portare il treno Italia a crescere al 3%. Questo rende sostenibile il nostro debito pubblico e consolida in modo forte e crescente tutte le nostre condizioni di finanza pubblica. Il rapporto Debito/Pil scenderebbe di oltre cinque punti percentuali all’anno e si porterebbe al 115% nel 2028”.