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Da Biden a Draghi, così cambia il clima (senza Cina). Parla Realacci

Al summit per il clima Biden ci ha ricordato che la transizione green rende più competitive le nostre economie. Per l’Italia e l’Europa è come la luna per Kennedy. E Draghi ha qualche asso nella manica. Intervista a Ermete Realacci, presidente di Symbola

“Per l’Europa, l’Italia, la questione climatica è come l’uomo sulla Luna per Kennedy”. Ermete Realacci, presidente di Symbola, tra i padri dell’ambientalismo italiano, ha le idee chiare. Il summit del presidente americano Joe Biden sul clima segna un cambio di passo. Ma è anche una sveglia per prendere coscienza delle capacità dei suoi alleati, a partire dall’Italia di Mario Draghi.

Realacci, che bilancio fare del summit?

Segna un cambio di paradigma. La questione climatica diventa uno spartiacque fra economia e geopolitica. Ovvero viene detto per la prima volta che la transizione green è un fattore di competitività economica. Negli ultimi anni, mentre Trump remava contro gli accordi di Parigi, molti settori dell’economia americana stavano cambiando rotta. Trump nel 2016 ha fatto campagna con lo slogan “usiamo carbone americano”. Ha portato voti ma il consume di carbone ha continuato a diminuire.

Biden ha parlato per la prima volta di “crisi climatica”. Si può parlare davvero di crisi?

Solo pochi giapponesi nella foresta non vogliono riconoscerlo. “Cambiamento climatico” vuol dire poco, il clima cambia da sempre. Sono i tempi del cambiamento che fanno la differenza.

Quali sono i segnali?

C’è l’imbarazzo della scelta. Penso all’impennata di migrazioni climatiche dall’area subsahariana. Al lago Ciad, al confine fra quattro Stati (Niger, Nigeria, Camerun e Ciad, ndr). Fino a qualche decennio fa era di 25mila chilometri quadrati, più largo della Lombardia. Ora sono 2000, cioè meno della Valle D’Aosta. E la competizione per la pesca e lo sfruttamento dell’acqua porta alla guerriglia, al terrorismo, alle migrazioni.

Gli Usa promettono: emissioni di gas serra dimezzate entro il 2030. È credibile?

Sì, l’Europa si è impegnata di ridurle del 55% e ad azzerarle nel 2050. Per noi è l’impresa più importante, come la Luna per Kennedy. Qui noi, come europei, dovremmo rivendicare uno Ius primae noctis per le politiche green, utilizzarle come chiave per le relazioni con i Paesi in via di sviluppo e per la competitività della propria economia.

Come?

Anzitutto difendendo le filiere europee. Il reshoring, lo sappiamo, è un fenomeno iniziato prima della pandemia. Ci sono strumenti fiscali per intervenire. L’Ue entro giugno, sotto la supervisione di Paolo Gentiloni, introdurrà la border carbon tax, una fiscalità applicata ai prodotti in ingresso in Ue che penalizzerà quelli che hanno troppe emissioni e scoraggerà le delocalizzazioni.

Ora la geopolitica. Come fa l’Ue a spingere sulla transizione green senza aumentare la già grave dipendenza dalle supply chain cinesi?

È una corsa contro il tempo. Serve lungimiranza, noi non sempre l’abbiamo avuta. Quando la Fiat comprò l’Olivetti, disse che il personal computer non aveva mercato. Sappiamo come è finita. Lo stesso errore è stato commesso sulle auto elettriche da Marchionne. Ora Elkann assicura che saranno il futuro. Adesso ad esempio non possiamo sbagliare sulla chimica verde.

Poi c’è il gas. L’Europa dipende dal gas russo e ora deve fare i conti con il Nord Stream II, il gasdotto fra Russia e Germania. Con le energie rinnovabili si può allentare la fune?

Dipende da quanto acceleriamo. Il gas è il migliore dei combustibili fossili. Ovviamente questa non può essere una scusa per rallentare la tabella di marcia. In America, dove pure ci sono grandi giacimenti, il gas è stato battuto dalle rinnovabili per l’energia elettrica. Ci sono settori dove il gas e soprattutto l’idrogeno saranno necessari, penso alle grandi navi e agli aerei.

C’è gas e gas. L’Italia ha puntato anche sul Tap, il gasdotto dall’Azerbaijan. Scommessa giusta?

Non lo so, ma ho trovato francamente eccessive le opposizioni. Un gasdotto costruito con capitali privati osteggiato fino all’ultimo dalla parodia del movimento ambientalista, con improbabili scuse a difesa delle spiagge e gli ulivi espiantati, mentre milioni di ulivi morivano a causa della xylella la cui lotta è stata frenata da ostruzioni inaccettabili.

Veniamo all’Italia. Nel Recovery plan ci sono 70 miliardi per le politiche green. Bastano?

Dipende da come li spendiamo. È stato sbagliato pensare all’inizio che fosse una specie di grande legge di bilancio gratuita perché pagata dall’Europa. Gli indirizzi sono chiari, coesione e inclusione, transizione verde e digitale. Non sono ammessi trucchi e scorciatoie.

Al summit di Biden Draghi ha detto che l’ambiente sarà al centro del G20 a presidenza italiana. Come?

Il G20 dovrebbe permettere all’Italia di fare la stessa operazione di Biden. È un’occasione per dire a tutti: siamo qui, siamo forti, abbiamo un’economia pronta a muoversi in questa direzione. Prendiamo l’economia circolare: in un anno l’Italia recupera il doppio delle materie prime della media Ue, risparmiamo ogni anno 63 milioni di tonnellate di C02 e 23 milioni di tonnellate di petrolio. Come ha detto di recente papa Francesco: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.

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