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Sputnik V bye bye. La Ue spegne gli ardori (filo) russi

Il Commissario europeo Breton dice al principale periodico tedesco che le difficoltà di produzione rendono il vaccino russo inutile per la campagna europea di immunizzazione. E le esperienze di alcuni paesi che già lo adottano non sono certo incoraggianti

Anche se il vaccino russo Sputnik V fosse approvato dall’Ema (l’agenzia europea del farmaco) arriverebbe troppo tardi. Questo il succo dell’intervista a Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno e responsabile della campagna vaccinale europea presso la Commissione, sul quotidiano tedesco Der Spiegel, proprio mentre la Germania parla di acquistarne una grossa fornitura.

Il vaccino dell’istituto Gamaleya di Mosca è approvato in quasi sessanta Paesi, ma le difficoltà di produzione impediscono a Rdif (il fondo sovrano russo che lo commercializza all’estero) di esportarlo in quantità sufficienti. Motivo per cui il fondo sta stringendo accordi bilaterali direttamente con le aziende private nella speranza di ottenere più centri per la produzione, che d’altronde non può iniziare senza il via libera delle autorità competenti.

Breton si è dichiarato convinto che la valutazione dell’Ema sul vaccino russo sarà corretta, “ma l’approvazione non significa che il vaccino possa essere prodotto in quantità sufficienti”, ha detto a Der Spiegel. “Normalmente ci vogliono molti mesi prima che [il processo di] produzione idoneo possa essere predisposto e fatto partire. Semplicemente, Sputnik V arriverà troppo tardi rispetto al nostro obiettivo di inoculare tutti gli europei, per quanto possibile, durante l’estate”.

Come ha spiegato a Formiche.net Guido Rasi, già direttore generale dell’Ema, iniziare il processo di produzione di un vaccino nuovo non è un affare di poco conto. “I tempi di consegna di un bioreattore nuovo sono di 6-8 mesi. Poi è necessaria la riconversione e la messa a punto delle linee produttive, infine la certificazione. Un processo di 12-14 mesi” aggravato dal collo di bottiglia delle due dosi di Sputnik V, l’una diversa dall’altra, “cosa che raddoppia le linee produttive e costringe a una sperimentazione più complessa”.

Le parole di Breton sono una doccia fredda per il variegato fronte di coloro che fanno pressione per velocizzare la procedura di approvazione di Sputnik, nella speranza che il farmaco russo possa sopperire ai singhiozzi nella distribuzione dei quattro vaccini approvati dall’Ema.

In Europa l’unico Paese che sta usando il vaccino russo è l’Ungheria di Viktor Orbán. La Slovacchia, a cui sono arrivate 200,000 dosi, ha appena fatto marcia indietro sull’utilizzo di Sputnik V nella propria campagna vaccinale per problemi di sicurezza e opacità dei dati forniti: c’è il sospetto che i russi abbiano inviato una versione del farmaco diversa da quella testata dalla rivista scientifica Lancet. In ogni caso, diversi Paesi europei e la stessa Commissione starebbero contrattando preventivamente per l’acquisto di dosi del vaccino russo.

Il virus non è destinato a scomparire con la vaccinazione di massa. I Paesi Ue si stanno muovendo per potenziare le proprie capacità di produzione dei vaccini appunto per fare fronte alla domanda futura di richiami in grado di contrastare le quanto mai probabili evoluzioni del Covid-19. Per questo ottenere nuovi centri di produzione di Sputnik V è essenziale per Mosca nell’ottica della propria strategia di diplomazia del vaccino.

Eppure scegliere Sputnik non è una scommessa vantaggiosa, secondo Rasi. “Se dovessi pensare a una strategia industriale nazionale, farei un investimento pesante nel futuro e non nel passato. E Sputnik, proprio come gli altri vaccini ad adenovirus, è stato superato dalla tecnologia a mRna” che sta dietro a vaccini come Pfizer/Biontech e Moderna. Quando occorrerà rimodulare la produzione, insomma, si vorrà fare affidamento sulla tecnologia più progredita.

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