Una sorta di ricatto del debito sta prendendo forma e sostanza anche nella consapevolezza dei governanti nei Balcani, ieri molto inclini a spalancare le porte al Dragone e oggi parecchio preoccupati per le conseguenze nell’immediato e nel medio periodo
Per la prima volta un Paese balcanico chiede aiuto economico all’Ue per sfuggire al cappio al collo degli investimenti cinesi per la Bri. Il prestito chiesto dal Montenegro, da 800 milioni di euro, è salito oggi a 1 miliardo e non solo il progetto ferroviario cinese potrebbe restare incompiuto ma finanche mettere a rischio le finanze del Paese. “Il Montenegro è abbastanza piccolo e per l’Ue sarebbe facile aiutarci a rifinanziare il prestito”, ha detto il ministro delle finanze montenegrino Milojko Spajić al Financial Times.
QUI MONTENEGRO
Il caso del piccolo Paese balcanico si inserisce all’interno dell’articolato tema relativo agli aiuti finanziari concessi dalla Cina, in chiave geopolitica, a molti Stati in via di sviluppo dove la cortina di fumo intorno ai prestiti che alla fine hanno inguaiato lo stesso Dragone non registra schiarite nonostante il pressing di ministri e banchieri centrali al G20 dell’economia.
Pechino ha compiuto significative operazioni logistiche e infrastrutturali nei Balcani attraverso vari progetti legati alla Bri a cui si è aggiunta la “diplomazia dei vaccini” (la Cina ha fornito 30mila dosi di vaccino Sinopharm al Montenegro e ha venduto diversi milioni di dosi alla Serbia).
Al momento Pechino trattiene un quarto del debito del Montenegro e, nonostante gli enormi ritardi nella costruzione di autostrade, il primo rimborso è previsto per luglio. Se il Montenegro non rimborserà il denaro, i termini del contratto daranno alla Cina l’accesso alla terra montenegrina come garanzia. Una sorta di ricatto del debito che sta prendendo forma e sostanza anche nella consapevolezza dei governanti, ieri molto inclini a spalancare le porte al Dragone e oggi parecchio preoccupati per le conseguenze nell’immediato e nel medio periodo.
Per cui il governo montenegrino proverà a cercare assistenza finanziaria da una serie di soggetti occidentali, come la Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. L’Ue non ha chiuso alla richiesta, ma al momento non ha specificato con quali mezzi finanziari poter eventualmente procedere, vista la concomitanza del Recovery.
QUI SERBIA
Lo scorso 23 febbraio la commissione per gli affari esteri (Afet) del Parlamento europeo ha adottato una risoluzione presentata da Vladimir Bilcik sui rapporti 2019 e 2020 della Commissione europea sulla Serbia. È scritto che viene registrata una certa “preoccupazione per la crescente influenza della Cina in Serbia e altri Paesi dei Balcani occidentali, in particolare per quanto riguarda la mancanza di trasparenza e la valutazione dell’impatto sociale e ambientale degli investimenti e dei prestiti cinesi”.
In Serbia il paper del Parlamento europeo ha riaperto il dibattito sulla natura delle relazioni bilaterali con la Cina, suscitando alcune analisi secondo cui la Serbia sarebbe diventata “la prima provincia cinese in Europa”. I numeri dicono che la Serbia ha fatto progressi significativi con il “tutoraggio” cinese, resta da capire a quale prezzo però.
Le esportazioni verso la Cina oggi sono 50 volte superiori rispetto a 10 anni fa, mentre il debito pubblico della Serbia è pari al 57% del Pil, nonostante l’aumento della spesa durante la pandemia. “Non avremmo mai potuto ottenere questi risultati senza il supporto della Cina”, ha detto il presidente serbo in occasione dell’ultimo vertice tra la Cina e i paesi dell’Europa centrale.
Il debito della Serbia verso la Cina è passato da 118 milioni di euro a fine 2011 a 1,1 miliardi di euro a fine 2020, a cui vanno aggiunti altri 14 miliardi di euro di prestiti concordati. Chi trae benefici da questa cooperazione sono i destinatari dei moltissimi progetti che sono stati esternalizzati a società cinesi senza contratto.
I Balcani vengono dopo altri Paesi come Malesia, Maldive, Sri Lanka dove il format cinese è sempre lo stesso: con la Belt and Road Initiative alcuni Paesi hanno sì la promessa di infrastrutture e logistica, ma tramite una sorta di cappio al collo, in quanto devono essere addebitate enormi somme alle banche che devono poi finanziare i lavori in questione. In Sri Lanka, nel tentativo di rinegoziare un programma di rimborso del progetto, i cinesi come contropartita hanno chiesto un contratto di locazione a lungo termine in un porto di primaria importanza.
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