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Recovery Fund, Antonella Mansi indica la via italiana

Mansi

Intervista all’imprenditrice e consigliera di amministrazione della Luiss, Antonella Mansi: “Possiamo parlare di innovazione, di sostenibilità, di transizione ma senza una formazione adeguata che consenta di raccogliere questa sfida, di gestirla, di esserne protagonisti, tutto ha molto meno senso”. E la pubblica amministrazione? “Rappresenta la madre di tutte le riforme, come diceva Giorgio Squinzi”

La principale sfida del Recovery Fund italiano? “Il capitale umano: la prima cosa da fare è investire sulla formazione delle persone che costituiscono la leva indispensabile della competitività del Paese”. La digitalizzazione e la sostenibilità, su cui dovrà poggiare il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza? “Definiscono un percorso ormai obbligato per ogni imprenditore: non esistono alternative”. La pubblica amministrazione? “Rappresenta la madre di tutte le riforme, come diceva Giorgio Squinzi. Ma attenzione: anche le aziende devono fare la loro parte”.

Parola della manager e imprenditrice del settore chimico Antonella Mansi che, dopo due mandati da vicepresidente di Confindustria tra il 2012 al 2020, oggi presiede il Centro di Firenze per la Moda Italiana ed è componente del consiglio d’amministrazione dell’università Luiss. Un ruolo, quest’ultimo, che inevitabilmente le ha fatto ancor di più rilevare l’assoluta centralità del sistema dell’education nella fase di ripartenza o addirittura di ricostruzione, come affermano in molti, che ci attende.

“È la priorità, non c’è niente da fare: possiamo parlare di innovazione, di sostenibilità, di transizione ma senza competenze adeguate che consentano di raccogliere questa sfida, di gestirla, di esserne protagonisti, tutto ha molto meno senso”, ha affermato ancora Mansi, che domattina interverrà all’evento dal titolo “#RestartToscana. Sfide e priorità per il rilancio dell’economia regionale” organizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) con la media partnership di Formiche.net (qui tutti i dettagli). Il mondo della formazione – ha continuato l’imprenditrice – “deve interfacciarsi continuamente con le aziende, senza il contributo fondamentale delle quali indiscutibilmente non potrà esserci alcuna ripresa”.

Mansi, da industriale le chiedo: ma esiste davvero un tema di competenze che le imprese faticano a individuare sul mercato?

Il mio collega Giovanni Brugnoli (vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano, ndr) sono ormai anni che si sgola sull’argomento. E oggettivamente ha ragione. Esiste una casistica molto rilevante sul mismatch tra i profili ricercati dalle aziende e le professionalità offerte dal mercato: i giovani escono dagli studi con una formazione che non sempre incontra la domanda delle imprese o è in condizione di soddisfarla.

Come si interviene in una situazione del genere?

C’è tutta la tematica degli Its (gli Istituti Tecnici Superiori, ndr) sul quale imprese e scuola occorre che facciano fronte comune. Le associazioni di rappresentanza del mondo produttivo hanno sempre posto l’accento sulla necessità di investire sull’orientamento delle famiglie e dei ragazzi e sulla possibilità di collegare la scuola e il mondo del lavoro attraverso l’alternanza. Gli Its sono in grado di mettere gli studenti nella condizione migliore per esprimere le loro capacità e  di realizzare le loro aspirazioni in tempi più veloci e aderenti alle necessità delle aziende. Spero davvero che il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza tenga conto di tutto questo.

A proposito di Pnrr, digitale e sostenibilità sono le due chiavi fondamentali su cui siamo chiamati a puntare in virtù dell’accordo europeo sul Next Generation Eu. Il mondo dell’industria, a suo avviso, è pronto a queste sfide?

Io credo che l’industria abbia di fronte a sé un percorso obbligato. Ci troviamo in un corridoio che dobbiamo per forza di cose attraversare se vogliamo garantirci capacità competitiva per il futuro. Per questo bisogna accompagnare il più possibile le imprese in questo percorso che è anche di carattere culturale: alla fine è solo attraverso le aziende che può essere in qualche modo data una risposta concreta alla sfida ambientale e digitale. E poi ricordiamocelo: la pandemia ci ha obbligato a essere pronti. O, quantomeno, a provarci.

Soprattutto sul digitale, no?

Sul piano digitale le aziende si sono ritrovate a fare salto quantico dalla sera alla mattina. Lo abbiamo vissuto anche noi in fabbrica: pur avendo la fortuna di essere un’azienda strutturata, peraltro attiva in un settore come quello chimico ad alta sensibilità ambientale e tecnologica, il passaggio allo smart working per i nostri colleghi ci siamo trovati a organizzarlo nell’arco di poche ore. Non è che ci avessimo pensato prima. Non era nelle attese, ovviamente.

E la parità di genere? Anche su questo aspetto dovrà puntare il Recovery Fund italiano.

Per fortuna, finalmente direi, il tema è stato posto in modo netto. Ora, però, bisogna che si dia seguito effettivo a quelle indicazioni. Finora abbiamo sempre ragionato solo sulle buone intenzioni. La questione non sono le regole, che ci sono, ma le infrastrutture sociali: se continueranno a mancare, potremo discutere all’infinito senza arrivare mai ad attuare le necessarie politiche di conciliazione. Detto più semplicemente: dobbiamo creare gli strumenti attraverso cui una donna possa agevolmente liberare spazio e tempo nella propria vita da dedicare alla propria professione o a quel che desidera. Altrimenti, è tutto inutile.

Mansi, il Pnrr dovrà essere accompagnato da un piano di riforme che comprende pure la Pubblica amministrazione. A questo proposito dovrebbe essere in arrivo un nuovo decreto Semplificazioni. Sarà la volta buona?

Mi auguro di sì, i tentativi su questo argomento sono stati numerosi. Io resto dell’idea di Giorgio Squinzi: si tratta della madre di tutte le riforme da varare in Italia. La pubblica amministrazione è una fondamentale risorsa di questo Paese, a patto che sia messa nelle condizioni di essere un partner strategico della ricostruzione e dello sviluppo. C’è ovviamente anche un tema di mentalità: occorre che maturi la consapevolezza di rappresentare una componente chiave della competitività complessiva del Paese.

Intanto però, per fare un esempio, in Italia abbiamo procedure di una lentezza e di una farraginosità difficile da trovare altrove. Come se ne esce?

Di sicuro non con una deregulation selvaggia. Molto spesso la parola semplificazioni usata dagli industriali viene interpretata come la ricerca di una scorciatoia, ma non è questo il tema. Ci vuole chiarezza in modo che il percorso diventi più semplice e intellegibile: le aziende devono potersi misurare con tempi certi e procedure stabili e uniformi. E poi occorre una maggiore serenità di relazione: il pubblico deve anche spogliarsi di qualche pregiudizio verso l’attività di intrapresa, che sembra quasi sempre sia colpevole fino a prova contraria.

Come industriali vi sentite trattati con diffidenza? La partnership tra pubblico e privato è uno dei grandi temi irrisolti del nostro Paese.

Dobbiamo tutti dare il nostro contributo: anche le imprese devono fare la loro parte. Ma è innegabile: una maggiore contaminazione tra pubblico e privato, innanzitutto in termini culturali, è fondamentale. Senza che ciò accada sarà difficile che l’Italia torni a percorrere una strada di crescita e di sviluppo.

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