Un report della banca d’affari nipponica, Nomura, mette in guardia Pechino dagli effetti devastanti di un Nord del Paese indebitato e dipendente dallo Stato e un Sud che viaggia a tutto Pil. Si rischia una crisi sistemica. E Fitch declassa il gigante di Stato Huarong
Le due anime della Cina e dunque di un’economia. C’è un Sud del Paese tonico e scattante, agganciato alla ripresa e un Nord ancora claudicante, decisamente più povero. La cattiva notizia però è un’altra. E cioè che tale divario è destinato ad aumentare, fino a dilaniare il Dragone, già alle prese con seri problemi di debito e insolvenze (dai prestiti ai bond societari, nessuno escluso). Una prospettiva messa nero su bianco in un report da Nomura (citato da Bloomberg), prima banca d’affari giapponese, che svela l’ennesima debolezza strutturale della Repubblica Popolare.
La crescita cinese, che nella prima parte dell’anno si è portata su livelli notevoli e forse impensabili (+18,3% anno su anno), è seriamente a rischio. E questo perché “il divario economico tra le regioni meridionali, più prospere della Cina e le aree settentrionali, decisamente in ritardo, continuerà ad ampliarsi nei prossimi anni, con enormi implicazioni per la crescita, il debito e il processo decisionale”, scrivono gli economisti della banca nipponica.
“Il problema della Cina sta nel fatto che la frattura tra il Nord e il Sud è cresciuta negli ultimi dieci anni, con le province meridionali che beneficiano della dipendenza dalle esportazioni e del boom di Internet e del Fintech, mentre le regioni settentrionali, ricche sì di risorse sono state trascinate nella crisi da investimenti fissi più lenti e mal calibrati, calo dei prezzi delle materie prime e migrazione della popolazione”. Non è un caso se Nomura abbia calcolato una riduzione della quota del Settentrione cinese sull’economia nazionale dal 43 al 35% in otto anni.
A questo punto è lecito parlare di rischi sistemici per l’economia dell’ex Celeste Impero, debito in testa. “Una crescita più debole nel nord ha significato crescenti pressioni fiscali e debito per la Cina. E questo perché oltre il 60% delle insolvenze obbligazionarie nel Paese proviene dalla Cina settentrionale, con un livello in aumento significativo nel 2020 sul 2019”.
Ancora, “il rapporto tra le entrate fiscali e spesa nelle province del Nord era del 42,7% nel 2020, rispetto al 51% nel sud: questo suggerisce una maggiore dipendenza nel nord dai trasferimenti del governo centrale”. Tradotto, la Cina meridionale e le sue province riescono a camminare sulle proprie gambe, grazie ai flussi garantiti dalle attività economiche, mentre al Nord, complice l’anemia del Pil, l’economia è sorretta dai trasferimenti di Pechino. Tutta questa disparità avrà un costo. Ovvero l’aumento “dei rischi di crisi finanziarie sistemiche e instabilità sociale”.
E che il debito nel Paese della Grande Muraglia sia ormai un problema strutturale e in cima all’agenda del Partito, lo dimostra anche la mazzata abbattutasi su Huarong, il principale gestore del debito pubblico e privato cinese. Insolvente nei bond emessi e in ritardo nella pubblicazione dei conti (con conseguente fuggi-fuggi degli investitori) proprio oggi Huarong ha subito il suo primo declassamento del rating. Huarong, che è di proprietà del ministero delle Finanze cinese indebitato per circa 22 miliardi di dollari di debito in bond emessi sul mercato, ha dovuto incassare il colpo di Fitch, da A a tripla B. Male.