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La Cina glissa sui prestiti muscolari. Al G20 niente trasparenza

Nonostante il pressing di ministri e banchieri centrali al G20 dell’economia, la Repubblica Popolare si rifiuta di fornire dettagli circa i finanziamenti opachi concessi a molti Paesi in via di sviluppo. E la cortina di fumo intorno ai prestiti che alla fine hanno inguaiato lo stesso Dragone, rimane

Nebbia e anche fitta. Niente, o nessuno, almeno per il momento riuscirà a penetrare la cortina di fumo intorno ai prestiti cinesi, concessi dalle grandi banche pubbliche controllate da Pechino ai governi della Terra. Finanziamenti la cui natura è stata raccontata nel dettaglio da Formiche.net. Finanziamenti opachi, fatti di scatole sempre più piccole, una specie di matrioska del credito, in cui i debitore è nei fatti da solo dinnanzi al creditore, legato da un vincolo di segretezza e da clausole molto simili a una morsa pronta a stringersi, come nel caso di incidente diplomatico con l’ex Celeste Impero.

E nemmeno la riunione del G20 finanziario, appena concluso, sembra essere riuscito, almeno in parte, a scardinare il meccanismo. Un meccanismo che hanno sperimentato sulla propria pelle numerosi Paesi Africani inseriti nello scacchiere della Via della Seta (qui l’articolo), costretti a rinegoziazioni di massa vista l’impossibilità di onorare il debito. Un problema, in ultima istanza, anche per la stessa Repubblica Popolare, che faticherà non poco a rivedere i soldi prestati, vittima della stessa natura dei prestiti in questione.

E così, come riportato da autorevoli media asiatici, nemmeno i ministri delle Finanze e banchieri centrali delle 20 grandi economie della Terra sono riuscite a saperne di più. E questo, è il retroscena, nonostante le numerose domande rivolte durante l’incontro rigorosamente virtuale, al governatore della Banca centrale (la Banca del Popolo) Yi Gang. “La Cina si è dimostrata meno cooperativa di quanto si aspettassero gli altri membri del G20”, ha riferito una fonte vicina ai lavori.

Il fatto è che Pechino è stata estremamente riluttante nel rivelare i dati necessari sui suoi prestiti alle nazioni in via di sviluppo, affermando, ad esempio, che la China Development Bank, di proprietà statale al 100%, è un “creditore commerciale” che non può essere costretto a partecipare al programma di cancellazione del debito. E pensare che ormai il faro si è acceso.

Grazie a uno studio che ha setacciato oltre 100 prestiti concessi dalle banche di Stato cinesi ai Paesi in via di sviluppo, molti dei quali parte della Belt&Road. Contratti che, sintetizzando al massimo, richiedono ai mutuatari di dare la priorità al rimborso verso le banche statali cinesi prima che altri creditori. Il rapporto afferma che il 30% dei contratti cinesi in questione richiede espressamente che il debitore, spesso un governo una grande impresa pubblica, mantenga un conto bancario speciale, riservato a tali finanziamenti.

Un esempio. Qualora Pechino, attraverso una delle sue banche statali, conceda un prestito a un governo o una grande industria, una serie di vincoli legati al prestito impedisce, per esempio, ad altre istituzioni o imprese, di essere a reale conoscenza dell’indebitamento. Dunque, se un’azienda pubblica sottoscrive un prestito con l’ex Celeste Impero, per il governo locale sarà difficile intervenire in caso di ristrutturazione. In altre parole, il debitore si ritrova solo dinnanzi al creditore.

Ne sa qualche cosa il Kenya. La nazione africana ha messo tutta l’energia necessaria per onorare le rate del maxi-prestito (6,7 miliardi) per una ferrovia strategica per il Paese, ma alla fine, complice l’impossibilità di avvalersi dell’aiuto di nuovi finanziatori in virtù del vincolo di segretezza sopra menzionato, ha dovuto rinegoziare il prestito. Un boomerang, comunque, per la Cina. Solo nel mese di marzo le autorità cinesi hanno hanno firmato accordi di sospensione dei pagamenti con 12 Paesi africani e ha fornito deroghe ai prestiti maturi senza interessi per 15 Paesi del Continente nero. La Cina presta, ma non incassa. Colpa, forse, di quei prestiti.



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