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Pechino all’attacco di Tencent. Il fintech è di nuovo bersaglio della Cina

Dopo l’attacco frontale ad Alibaba, pronta una multa da 10 miliardi di yuan per il gigante hi-tech, fondato dall’uomo più ricco della Cina. L’accusa è la violazione delle norme antitrust, ma la paura è che si possa ripetere lo schema usato con Jack Ma

Senza sosta, come un rullo compressore, la Cina continua a picconare il fintech. Dopo aver messo la museruola ad Alibaba, facendo fallire l’Ipo di Ant, comminando una multa da 18 miliardi di yuan (2,8 miliardi di dollari), imponendo la trasformazione in home e minacciando l’esproprio della banca dati sui pagamenti e transazioni, adesso per Pechino è ora di colpire un altro gigante della tecnofinanza. Quella Tencent co-fondata e  guidata da Ma Huateng, uomo più ricco della Cina con un patrimonio di 63,4 miliardi di dollari.

Lo schema è sempre quello anche se nel caso di Alibaba più che di una mazzata si è trattato di un attacco frontale. Sarebbe di almeno 10 miliardi di yuan (1,6 miliardi di dollari) la multa che potrebbe abbattersi su Tencent. La leva è la concorrenza, ovvero la violazione delle norme antitrust. Da tempo infatti la Repubblica Popolare ha messo in atto una fera e propria spedizione punitiva contro l’intero comparto fintech, accusato di inclinazione naturale a forme di monopolio. Se c’è qualcuno che in Cina può creare un monopolio, quello è lo Stato e non certo aziende private. E il siluro lanciato dal governo di Xi Jimping all’indirizzo del colosso internet e hi tech ne è la prova.

Come rivelato da Reuters, la multa sarebbe pronta ad essere notificata, con tutte le conseguenze del caso, panico in Borsa incluso (ma al momento il titolo Tencent regge saldamente sui listini). Dietro i colpi assestati al fintech da parte della Cina c’è però un’altra ragione. Ufficialmente, Tencent viene accusata di pratiche scorrette e anticompetitive, soprattutto in alcuni business come quello musicale attraverso la società Tencent Music Entertainment Group.

Ma la verità è che la vera guerra si gioca sul terreno dei dati personali. A Pechino infatti tollerano poco il fatto che le grandi aziende del fintech abbiano negli anni immagazzinato decine di miliardi di dati personali, frutto delle transazioni online, tra prestiti, microcredito e, soprattutto, acquisti di beni e servizi sulla rete. Non è un caso che la Banca centrale cinese, la Pboc, stia puntando dritta all’immenso database sui prestiti al consumo di Ant.

Di sicuro La società fondata nel 1998 era già stata avvertita nelle scorse settimane, insieme a una trentina di altre aziende attive nello stesso settore, affinché aggiustasse sistemi ritenuti scorretti e anti-competitivi. Ora resta da capire una cosa. E cioè se il governo cinese si fermerà qui, alla multa, o andrà oltre. Se, cioè, la sanzione antitrust non sia altro che una testa di ponte con cui poi aumentare la presa sul gigante asiatico.

Al momento, in seguito alla multa antitrust, Tencent dovrebbe rinunciare ai diritti musicali esclusivi e potrebbe persino essere costretto a vendere le app musicali Kuwo e Kugou che aveva acquisito. Mentre le attività principali di Tencent di WeChat, la sua super app utilizzata per chat e pagamenti, nonché per i giochi, rimarranno probabilmente intatte. Se non altro, ultimo bilancio alla mano, l’operatore con sede a Shenzhen e proprietario di WeChat (che conta oltre un miliardo di utenti) ha fatto in tempo a garantito agli azionisti una crescita degli utili migliore delle aspettative.


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