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I veri problemi della formazione della classe dirigente

Le scuole di politica non erano solo le Frattocchie, ma le associazioni giovanili, le riviste, la partecipazione assidua alle commissioni parlamentari che hanno formato generazioni di politici, alcuni arrivati a Montecitorio e Palazzo Madama da autodidatti o digiuni della materia. La testimonianza di Luigi Tivelli, per 30 anni all’interno delle istituzioni e a stretto contatto con i parlamentari

Il dibattito avviato su Formiche sulla crisi della formazione politica e delle scuole di partito mi motiva ad offrire il mio contributo anche se è sempre stato per me un tema di riflessione ed avrei bisogno più dello spazio per un saggio che di quello per un articolo. Mi permetto di prendere l’avvio da un’esperienza personale. Molti anni fa, dal 75 al 77, essendo stato eletto a 21 anni vice segretario nazionale vicario della federazione giovanile repubblicana, ho potuto beneficiare ampiamente di quello che era un vero e proprio partito-scuola, come il partito repubblicano, che grazie anche agli innesti a suo tempo dal partito d’azione, a cominciare dal grande leader Ugo la Malfa, raccoglieva il meglio dell’intellighentia laica del tempo.

Quel partito non è che avesse chissà quali scuole di partito, ma era un partito-scuola nel senso che si nutriva della cultura politica più avanzata e la faceva circolare al suo interno prima di immetterla nel dibattito politico. Ricordo che le due commissioni di studio fondamentali, alle cui riunioni non mancavo mai poiché erano veri e propri centri di formazione, erano la commissione problemi istituzionali e la commissione problemi economici.

La prima era composta da ex presidenti o membri della Corte Costituzionale, professori ordinari di diritto costituzionale o di diritto pubblico, grandi esperti di materia istituzionale e ai suoi lavori partecipavano i giovani dirigenti e i quadri più avanzati e i funzionari del partito. La seconda era composta da autorevoli economisti, professori ordinari di economia, presidenti di grandi aziende ed enti pubblici e anche ai suoi lavori partecipavano oltre che i giovani anche i funzionari del partito e altri addetti ai lavori.

È in questo modo che non solo si era sempre aggiornati sulle più importanti problematiche in atto, ma si anticipavano le tematiche che sarebbero emerse nella fase successiva. Quegli anni fra il 75 e il 78 (che sono stati gli anni in cui vigeva la formula politica della solidarietà nazionale) è emersa la più significativa classe dirigente fra i movimenti giovanili dei partiti. Una generazione che ha potuto beneficiare del fatto di appartenere a partiti-scuola o di godere dei servizi delle scuole di partito.

Nella federazione giovanile comunista il leader era Massimo D’Alema, ma accanto a lui c’erano figure come Walter Veltroni, Ferdinando Adornato ed altri. Nella federazione giovanile socialista il leader era Enrico Boselli, ma tra i dirigenti c’era anche Enrico Mentana. Il leader dei giovani liberali era Antonio Patuelli mentre rispettivamente il segretario e il vice dei giovani democristiani erano Marco Follini e Pier Ferdinando Casini. Per non parlare della scuola del Partito Radicale.

A contribuire alla formazione politica c’erano poi anche le riviste di partito per il PCI, c’era Rinascita ma c’era anche la Città Futura, la rivista diretta da Ferdinando Adornato dei giovani comunisti. Anche io stesso fondai “PER”, il mensile dei giovani repubblicani, che affiancava La Voce Repubblicana che è stata un nucleo da cui sono emersi alcuni tra i migliori attuali direttori dei grandi giornali italiani. Nell’ambito del PSI invece nacque Mondo Operaio.

Inutile ricordare, perché già lo hanno fatto altri, il ruolo della scuola delle Frattocchie per i comunisti. Per la Democrazia Cristiana, a parte alcuni aspetti e fasi di formazione politica, essendo di fatto divisa in correnti spesso molto strutturate, alcune di esse avevano anche la loro rivista, ed erano le stesse correnti a svolgere un ruolo anche formativo.

Al di là dell’esperienza formativa che hanno avuto per molti gli anni intensi della politica giovanile (parlo di anni in cui gli iscritti alle federazioni giovanili di partito erano diverse centinaia di migliaia) che hanno dato l’impronta anche a molti leader politici attuali, non va poi dimenticato il ruolo formativo avuto dal Parlamento. Personalmente, diversamente da quanto pensavano coloro che mi conoscevano allora, scelsi di non fare il politico di professione ma lo studioso di politica e l’uomo delle istituzioni e partecipai al severo concorso per consigliere della Camera dei Deputati, in cui ho passato più di 30 anni. Anche quando ero chiamato a ruoli di Governo continuavo a seguire il Parlamento in quanto avevo funzioni o di Capo di gabinetto nei rapporti col Parlamento o di consigliere parlamentare della Presidenza del Consiglio.

Ebbene, una cosa che ho seguito e constatato nel tempo e che pochi tengono presente è che il Parlamento, e soprattutto l’ambito più ristretto delle commissioni, sono stati per molti deputati e senatori una scuola di politica. Ho visto ad esempio, quando ero ai miei inizi da segretario per la Commissione agricoltura della Camera, deputati eletti per la DC da Coldiretti con pochi studi alle spalle saper diventare nel giro di poco tempo degli esperti parlamentari, tenere testa a colleghi più competenti, saper svolgere bene il loro lavoro, perché se interpretato con disponibilità e passione, specie in una commissione di settore, è una vera e propria scuola di formazione.

La stessa cosa nella mia esperienza ho potuto osservare anche in altre commissioni, vedendo ad esempio nella Commissione finanze due ex operai autodidatti del PCI sapere tenere testa nei dibattiti anche al Ministro delle Finanze di allora, un grandissimo esperto come Bruno Visentini.

Oggi mi pare che con la decadenza del Parlamento, con l’esautoramento di varie funzioni, ma soprattutto con il Parlamento dei nominati che ci è stato regalato dalle ultime leggi elettorali in cui i componenti non sono scelti né sulla base della rappresentatività né tantomeno sulla base del merito, ma della fedeltà al segretario o alle oligarchie di partito, è finito sia il ruolo formativo del Parlamento, sia livello e la qualità della classe parlamentare.

Qualcuno obietterà che ciò era già avvenuto col passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, ma in fondo c’era stato un qualche assestamento perché ad esempio i deputati della Lega man mano avevano fatto esperienza come amministratori pubblici locali e la qualità media del gruppo non era male. Per quanto riguarda poi quelli di Forza Italia il livello medio professionale era buono ed erano riusciti man mano ad entrare nei meccanismi parlamentari.

La verità è che la mazzata alla qualità della classe parlamentare, in assenza di luoghi, di scuole, nella decadenza del ruolo e delle commissioni come luoghi di formazione specifica della classe politica, in presenza di un meccanismo sostanzialmente di nomina, più sulla base del “premio fedeltà” che sulla base del merito della rappresentatività lo abbiamo avuto fra il 2013 e le ultime elezioni del 2018. E il contributo fondamentale in questo senso lo ha offerto il Movimento 5Stelle con la teoria e la regola dell’”uno vale uno” e il rifiuto del principio di competenza e di quello di esperienza.

Basti dire poi quel 30% circa di Parlamentari che siedono nell’attuale legislatura e sono stati selezionati con delle cosiddette parlamentarie online. Per una candidatura sicura potevano bastare anche 150 preferenze online. Questo non significa però che la responsabilità della decadenza della classe politica e del venire meno della formazione politica sia esclusiva dei 5Stelle.

A questo punto però si aprono due spiragli: per un verso, tra le molto scarne proposte ed iniziative sin qui assunte da Giuseppe Conte per diventare finalmente il leader dei 5 stelle, ha lanciato la proposta di strumenti e iniziative per la formazione politica in seno al Movimento, che sarebbe una novità assoluta, mostrando così di volere in pratica farne un vero e proprio partito e cancellare definitivamente il principio dell'”uno vale uno”.

Per altro verso è diventato come è noto segretario del PD un uomo della levatura di Enrico Letta che ha sempre fatto della formazione politica un suo must già da vari anni con iniziative sia durante l’estate che durante l’anno in Italia. con una sua scuola e con l’associazione Vedrò. E poi ha accumulato un know how di livello molto elevato a Sciences Po di Parigi, una scuola di qualità e dimensione internazionale. In una logica ottimistica è da prevedere che Enrico Letta, consapevole di quel po’ di decadenza anche della classe politica del PD, punterà sulla formazione politica forse non solo dei giovani. E probabilmente sarà una sponda e potrà dare consigli utili a Giuseppe Conte per la sua originale iniziativa di portare la formazione politica dentro i 5 stelle.

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