Draghi ha scelto come primo Paese per un viaggio ufficiale la Libia, dove ha dimostrato di voler dare al dossier una priorità nell’interesse nazionale, ma anche di essere parte dei processi che la presidenza Biden metterà in moto nel Mediterraneo. Conversazione con Pierferdinando Casini
La visita in Libia con cui il presidente del Consiglio, Mario Draghi, inaugura i suoi viaggi internazionali fornisce elementi positivi sul fatto che il governo abbia individuato le sue priorità di politica estera sul Mediterraneo, dove in questi ultimi anni tra l’ingresso di Turchia e Russia e assenza americana, “l’Italia rischiava di scomparire”, spiega a Formiche.net il senatore Pierferdinando Casini.
“Mentre adesso mi pare che la nuova amministrazione statunitense spinga verso una rinnovata possibilità di incidenza dell’Italia su questa regione”, continua.
Membro della Commissione Esteri del Senato, Casini è il politico con alle spalle la più lunga esperienza tra quelli presenti nei due rami del Parlamento italiano. Ha vissuto diversi passaggi della politica internazionale di Roma e sottolinea che “giustamente Draghi descrivendo il suo viaggio ha parlato di tutela dell’interesse nazionale, seppur nell’ottica della cooperazione”.
“Il problema dell’immigrazione – ha detto il capo del governo italiano durante la visita a Tripoli – non nasce sulle coste libiche ma si sviluppa ai confini meridionali della Libia. L’Unione europea è stata investita del compito di aiutare il governo libico anche in quella sede”. L’immigrazione è un tema. “Certamente – aggiunge Casini – una delle ragioni fondamentali di interesse nazionale per cui l’Italia deve recuperare un posto centrale in Libia è proprio la necessità di dare ordine al fenomeno migratorio. Ma non è l’unica”.
“Per l’Italia – continua il senatore – l’interesse nazionale è infatti anche fare in modo che nel Mediterraneo ci sia una pace prospera e senza interferenze esterne: dunque occorre evitare che in Libia ci sia una guerra di prossimità e per procura, come visto finora con il coinvolgimento di russi e turchi, ma anche dei Paesi del Golfo”. Nell’ultimo conflitto, la Russia, gli Emirati Arabi e l’Egitto (e anche meno direttamente la Giordania e l’Arabia Saudita) si sono schierati con i ribelli della Cirenaica che tentavano di rovesciare il precedente governo onusiano, il Gna, protetto a Tripoli dalla Turchia (e meno direttamente dal Qatar).
”Contemporaneamente abbiamo la necessità che l’Europa possa pesare sul Mediterraneo e che si muova in modo compatto”, spiega Casini: “Su questo ho già chiesto in Parlamento a Draghi di mettere all’ordine del giorno il tema di un lavoro comune in Libia tra Italia e Francia, anche visti i rapporti del presidente del Consiglio come il presidente francese, Emmanuel Macron. Necessario, anche perché in questi anni non mi pare ci sia stato”. La Francia è stata accusata – dallo stesso Gna – di tenere una posizione pro-Cirenaica.
Oggi una delegazione europea guidata dalla presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è a Ankara, per incontrare il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Missione che arriva a seguito della road map delineata dal Consiglio europeo di dieci giorni fa, pensata con l’obiettivo di rilanciare gli altalenanti rapporti tra Bruxelles e Ankara, dopo gli ultimi strappi del governo turco su democrazia e diritti umani.
Che fare con la Turchia, questione che riguarda la Libia, il Mediterraneo, ma anche l’Ue e la Nato? “È un tema delicato. Non c’è solo la violazione sistematica dei diritti umani e gli arretramenti di questi ultimi anni, ma anche gli atti di prepotenza nel Mediterraneo orientale, le questioni con la Grecia. Tutto si concilia molto male con un rapporto speciale che la Turchia vuol tenere con l’Ue, ma è chiaro che anche qui le iniziative dell’amministrazione Biden possono cambiare il corso degli eventi”.
Come? “Il rinnovato avvicinamento all’Europa, il multilateralismo e la positività con cui Washington guarda adesso al ruolo Ue nel Mediterraneo con una rinnovata attenzione può essere un presupposto per rimettere in ordine anche il rapporto tra Turchia e Stati Uniti. Il ritiro statunitense dal Mare Nostrum, prima ancora che con l’amministrazione Trump con quella Obama, ha posto in essere le premesse perché qualcuno allungasse le proprie mire sulla regione. Ora le cose possono cambiare, e l’Italia ne è parte”.