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Fmi e Banca Mondiale, il monito di papa Francesco sul debito ecologico

Bergoglio ha inviato il suo messaggio agli incontri di primavera del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Non gli è stata destinata sufficiente attenzione da molti media e La Civiltà Cattolica ci torna con un testo di approfondimento su come il papa affronta i risvolti socioeconomici, sanitari ed ecologici della crisi pandemica. L’analisi di Riccardo Cristiano

Esiste un debito ecologico con i “Paesi poveri”? I mutamenti climatici, ad esempio, causati in gran parte dalle economie avanzate, non gravano su tante economie africane? Come mai questo debito non viene neanche preso in considerazione, non viene calcolato, addirittura non viene riconosciuto?

Riconoscere il debito ecologico è una delle principali indicazioni contenute nel testo inviato da Francesco a Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale in occasione degli incontri di primavera 2021, appuntamento tanto tradizionale quanto importante dei due grandi istituti mondiali. Non gli è stata destinata sufficiente attenzione da molti media e La Civiltà Cattolica, per fortuna, ci torna con un testo di approfondimento. Che parte da questa considerazione riassuntiva e decisiva visto che il papa vi affronta i risvolti socioeconomici, sanitari ed ecologici della crisi pandemica: “Nello scritto il Pontefice espone le sue principali attese. Auspica che da questa dura contingenza nasca l’opportunità di un cambiamento verso un’economia più inclusiva, sostenibile e orientata al bene comune universale; che i Paesi poveri abbiano voce reale negli organismi internazionali e accesso ai mercati internazionali; che essi vengano aiutati attraverso il condono dei debiti contratti; e che siano sostenuti nella transizione a un’economia verde.

Questi quattro desideri o aspirazioni si fondano su altrettante diagnosi: nessuno si salva da solo, ossia non si raggiunge la prosperità se non si condivide e si riconosce ciò che è dovuto agli altri; esiste un vero e proprio debito ecologico da saldare; tutto questo richiede un piano globale da concepirsi in vista di un obiettivo comune, cioè il bene comune universale; occorre agire come comunità e fare in modo che sia la solidarietà a ispirare le nostre azioni e che si finanzi una solidarietà vaccinale. Il Papa ricorda al tempo stesso la necessità di regolamentare i mercati. Su questo la storia recente è stata maestra, quando, con la crisi finanziaria e reale del 2008, ci ha insegnato – per dirla con le parole di Paul Anthony Samuelson, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 1970 – che i sistemi di mercato privi di regole sono prima o poi destinati a implodere”.

Le indicazioni qui riassunte sono importantissime, sarebbe interessante capire se la sottovalutazione derivi dalla possibilità che per alcuni anche Paul Anthony Samuelson, il primo americano insignito del Nobel per l’economia, sarebbe “comunista”.

Così il testo, firmato da padre Fernando de la Iglesia Viguiristi, ci accompagna in una necessaria analisi del valore del testo. Si parte da una constatazione: la pandemia, partita dalla non più povera Cina, ha creato enormi problemi al mondo ma ha visto due successi, la rapidissima disponibilità dei vaccini, successo scientifico, e l’altrettanto rapida mobilitazione di ingenti risorse finanziarie, successo sociale, soprattutto per gli abitanti del Primo Mondo: “Resta un dato fondamentale: né la ripresa economica né la distribuzione dei vaccini avverranno all’unisono”.

I tempi di ripresa non sono identici, ma Stati Uniti, Europa e Gran Bretagna li vedono tra la seconda metà del 2021 e la prima a metà del 2022, mentre la Cina già torna a crescere. “Ma all’altro estremo dello spettro molte economie in via di sviluppo e mercati emergenti potrebbero impiegare anni per riportarsi ai ritmi precedenti, e comunque con maggiori livelli di disuguaglianza. La Banca mondiale stima che entro la fine del 2021 la pandemia da Covid-19 avrà spinto altri 150 milioni di persone nella povertà estrema. Il numero di quanti sperimentano la cosiddetta ‘insicurezza alimentare’, ovvero sono preda della fame cronica, si è accresciuto di 130 milioni rispetto all’anno scorso, superando gli 800 milioni complessivi”.

I fattori divaricanti sono tre: i tempi della campagna di vaccinazione, la portata del sostegno macroeconomico, la vulnerabilità economica da debito. I termini del divario sono impressionanti e danno il senso di un fossato che potrebbe ulteriormente allargarsi. Del divario vaccinale, purtroppo, sappiamo o possiamo immaginare. Ma c’è molto altro alle porte in economia: “Finora l’inflazione si è mantenuta ostinatamente bassa, ma un’esplosione della domanda potrebbe spingerla verso l’alto, e questo indurrebbe la Fed ad alzare i tassi un po’ prima di quando abbia previsto; di fatto, nei mesi trascorsi del 2021 i tassi d’interesse a lungo termine si sono già quasi raddoppiati.

L’effetto domino di questa mossa sui mercati finanziari separerebbe i forti dai deboli e colpirebbe con particolare durezza i mercati emergenti, già carichi di debiti. Se infatti questi ultimi dovranno destinare le risorse al pagamento degli interessi, non riusciranno a fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia. Si genererebbe una situazione simile a quella già vista nella crisi degli anni Novanta, quando in Messico, in Brasile e nelle economie del Sud-est asiatico il crollo rovinoso venne innescato proprio dagli effetti a scoppio ritardato degli accresciuti tassi d’interesse negli Stati Uniti”.

Il ragionamento è semplice: per frenare la corsa dell’inflazione la soluzione più rapida e a portata di mano sarebbe quella di aumentare il costo del denaro. Questo aumento del costo del denaro e quindi dei tassi di interesse avrebbe effetti ovvi e pesantissimi sui Paesi che hanno già debiti.

Questo rischio rende evidente che la cooperazione finanziaria deve essere globale per affrontare e curare i problemi creati dalla pandemia. Secondo l’autore, che parte dalla campagna vaccinale mondiale, lo stanziamento di 11 miliardi non basta e occorre alzare l’asticella: vaccinare il 27% della popolazione mondiale è un obiettivo da alzare e molto, urgentemente. “Gli 11 miliardi di dollari che i governi hanno finora stanziato sono insufficienti: occorre renderne disponibili altri 22 entro l’anno in corso. Inoltre, l’attuale carenza di vaccini induce i Paesi a lottare per guadagnare posti nella fila, a costo di pagare prezzi molto alti.

Tanto più si evidenzia quanto sia urgente garantire a tutti, anche alle nazioni più povere, la possibilità di raggiungere una copertura vaccinale integrale in modo equo e a tempo debito. Le somme addizionali necessarie per garantire una copertura vaccinale universale entro la fine del 2022 (più o meno 50 miliardi di dollari) sono modeste a paragone degli enormi benefici globali derivanti dall’estinzione della pandemia”.

Per La Civiltà Cattolica si dovrebbe dunque urgentemente trovare il modo di finanziare gli squilibri provocati nella bilancia dei pagamenti degli stati, che è proprio il motivo per cui è stato creato il Fondo Monetario Internazionale. “Come ha fatto notare papa Francesco nella sua lettera, è doveroso che i Paesi poveri abbiano voce in capitolo negli organismi internazionali che decidono su politiche che li riguardano; inoltre, essi devono essere alleviati nel pagamento del loro debito estero e ricompensati per il debito ecologico”.

Questa prospettiva che appare “altruismo” si capisce però diversamente: è semplicemente responsabilità. Questa responsabilità ha un fondamento anche oggettivo: i Paesi cosiddetti in via di sviluppo sono oggi in una profonda crisi sanitaria ed economica che per quanto descritto in precedenza creerà le condizioni per una catena di nuovi default sovrani, come già ce ne sono. Ecco perché autorevoli economisti propongono una moratoria sui tempi di restituzione del debito. È una prospettiva tanto responsabile quanto “moderata”, ma per spiegarne la moderazione occorrerebbe rifare la storia del “debito” e dei fondi avvoltoio, che ne hanno determinato un mostruoso incremento.

Comunque siccome siamo già alla penuria alimentare per le interruzioni causate dalla pandemia nella catena distributiva l’articolo vede una indispensabilità della moratoria: “Ma perché sia approvata una moratoria sui debiti, è necessario che la decisione coinvolga in prima persona gli Stati Uniti, che hanno potere di veto sulle decisioni del Fmi. E deve essere d’accordo anche la Cina. Si può però esaurire la questione adottando l’obiettivo di ripristinare la situazione precedente, la vecchia normalità? Non ci troviamo invece di fronte a una crisi che dà opportunità di migliorare il nostro mondo? Non è venuto il momento di considerare il condono dei debiti dei Paesi poveri? Questa opzione sta conquistando sostenitori: oggi la condivide perfino Willem H. Buiter, già capo economista di Citigroup, la società di servizi finanziari più grande del mondo”.

Dopo l’illustrazione di questo autorevole punto di vista l’articolo arriva all’intuizione di Francesco: ma non c’è anche un debito ecologico contratto con questi Paesi? Un esempio: “I nigeriani, stretti tra le soffocanti ondate di calore e l’interruzione dei raccolti, stanno già avvertendo gli effetti del cambio climatico, ossia di una sfida che nessun Paese può affrontare da solo. In particolare, non dovrebbero essere costretti a farlo i Paesi africani. Dopotutto l’Africa, una delle regioni più vulnerabili del Pianeta, dove dal 2012 a questa parte le siccità ricorrenti nell’area subsahariana hanno già accresciuto del 45,6% la popolazione denutrita, ha minori responsabilità al riguardo.

In compenso, gli effetti del cambiamento climatico si ripercuotono negativamente sulle società, distruggono le fonti di sostentamento, aggravano le condizioni che generano conflitti, con risultati destabilizzanti che si fanno sentire in tutta la regione. Frattanto le economie sviluppate, che sono le maggiori responsabili del cambiamento climatico, fingono di ignorare quanto accade in Africa e rifiutano di prendere misure adeguate. Come si vede, la pandemia da Covid-19 non è affatto l’unica sfida comune che dobbiamo affrontare nel nostro Pianeta interconnesso”.

Non c’è un debito ecologico? Non porvi riparo oggi è immaginabile? “Diventa imprescindibile che almeno il 2% dei redditi mondiali venga dedicato a beni e servizi internazionali, per porre fine alla povertà estrema, combattere il cambiamento climatico, proteggere la natura, salvare milioni di persone indigenti dalla morte prematura, garantire la scolarizzazione di tutti i bambini e difendere la pace attraverso l’Onu. È tempo di concepire nuove imposte globali sui redditi d’impresa, sui conti all’estero, sulle transazioni finanziarie internazionali, sulla ricchezza netta dei multimilionari e sull’inquinamento, al fine di preservare un mondo che è tanto interconnesso quanto sotto minaccia”.



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