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La fuga di giornalisti stranieri (e non solo) dalla repressione cinese

John Sudworth, corrispondente della Bbc in Cina, insieme alla moglie, anche lei giornalista, ha lasciato il Paese perché era diventato troppo rischioso continuare a lavorare. L’elenco di giornalisti, accademici e ricercatori silenziati che abbandonano la Cina per paura di essere arrestati

“Siamo andati via di corsa quando la pressione e le minacce del governo cinese, che erano cominciate tempo fa, sono diventate troppo forti”. Con queste parole John Sudworth, corrispondente della Bbc in Cina, ha spiegato la scelta di abbandonare il Paese asiatico.

Ai microfoni della Bbc Radio 4, il giornalista ha raccontato di avere subito intimidazioni da parte delle autorità cinesi dopo i suoi reportage sulle violazioni dei diritti umani degli uiguri nello Xinjiang e sulla pandemia.

Dopo nove anni di lavoro in Cina, “era troppo rischioso continuare”, ha spiegato Sudworth, per cui ha scelto di trasferirsi a Taiwan insieme alla moglie, Yvonne Murray, anche lei giornalista e corrispondente in Cina per l’emittente statale irlandese Rte.

Sudworth ha raccontato che lui e la sua famiglia sono stati sorvegliati dalla polizia cinese fino all’area di imbarco dell’aeroporto, e gli è stato impedito di fare video. “Due dei nostri figli sono nati in Cina, tutti parlano cinese fluente – ha spiegato il giornalista nell’intervista -, loro si sentono a casa ed è molto dura specialmente per loro affrontare il fatto che probabilmente non potranno tornare mai più”.

Attraverso i suoi account Twitter, la Bbc News ha dichiarato che “il lavoro di John ha rivelato la verità che le autorità cinesi non volevano che il mondo sapesse. La Bbc è orgogliosa dei pluripremiati reportage di John durante il suo soggiorno a Pechino e rimane il nostro corrispondente dalla Cina”. L’emittente Rte ha anche confermato Yvonne Murray resterà corrispondente per la Cina da Taiwan.

Il mese scorso, il governo cinese ha interrotto le trasmissioni della Bbc World News, dopo la diffusione di un reportage sullo Xinjiang e gli abusi contro le donne uigure. Per il quotidiano cinese Global Times, Sudworth si sta “nascondendo” a Taiwan per il lavoro parziale che ha fatto sulla comunità musulmana nello Xinjiang e l’ordine della pandemia Covid, producendo “notizie false, diffondendo voci sullo Xinjiang e calunniando la politica cinese nella regione”.

Sudworth e la moglie non sono gli unici giornalisti in fuga dalla repressione cinese. Il numero di corrispondenti sul territorio cinese si è ridotto considerabilmente nell’ultimo anno, dopo che le autorità hanno revocato il visto ai giornalisti di New York Times, Washington Post e Wall Street Journal, tra altre testate internazionali di alto livello (qui l’articolo di Formiche.net). La misura è stata definita come l’azione più forte contro la stampa straniera in Cina, per cui alcuni media australiani hanno fatto rientrare i loro corrispondenti per il timore di arresti arbitrari.

Come nel caso noto della giornalista e conduttrice tv australiana, Cheng Le, arrestata l’estate scorsa in Cina dopo avere osato criticare il governo di Xi Jinping. L’accusa formale di spionaggio è stata presentata dopo sei mesi dall’inizio della detenzione.

Cheng lavorava per l’emittente statale cinese in lingua inglese Cgtn, e aveva scritto un post su Facebook criticando la gestione della crisi sanitaria per il Covid: “La grande storia di oggi, la visita del caro leader, ha innescato delle risatine in redazione”.

Per la ministra degli esteri australiana, Marise Payne, “il governo australiano ha comunicato, al massimo livello, la sua profonda preoccupazione sull’arresto della signora Cheng, in particolare sul benessere e le condizioni dell’arresto. […] Speriamo che siano rispettati i principi fondamentali di giustizia, equità giuridica, conforme alle regole internazionali”. I giornalisti australiani Bill Birtles e Michael Smith, invece, sono fuggiti dalla Cina dopo essere stati interrogati sul caso di Cheng (qui l’articolo di Formiche.net).

A dicembre 2020, la giornalista indipendente Zhang Zhan è stata condannata a Shanghai a quattro anni di carcere con l’accusa di avere reso noti i dati sull’inizio della pandemia Covid-19 nella città di Wuhan a gennaio 2020. Secondo il sito South China Morning Post, la donna è accusata di essere responsabile di “aver fomentato dispute e provocato problemi”.

La giornalista, originaria di Shanghai, era arrivata a Wuhan a febbraio e ha diffuso informazioni sulla situazione della pandemia attraverso i social network (qui l’articolo di Formiche.net).

A febbraio, il giovane Chen Qiushi era scomparso dopo avere trasmesso un video sul confinamento a Wuhan e la situazione del virus in Cina. Mesi dopo si è saputo che era sotto sorveglianza dello Stato.

Per Chinese Human Rights Defenders, “con la scusa di lottare contro il nuovo coronavirus, le autorità cinesi hanno intensificato la repressione contro i report indipendenti, lo scambio di informazioni e i commenti critici verso il governo”.

Intimidazione e repressione di Pechino colpiscono non solo i giornalisti, ma anche ricercatori, accademici e lavoratori di diverse ong occidentali. Più di una decina di questi professionali hanno confessato alla Cnn che sebbene prima viaggiassero regolarmente in Cina, dopo la pandemia non vogliono più farlo per timore alla sicurezza personale. Molti di loro hanno ammesso che cercheranno di modificare le loro posizioni per non entrare in conflitto con le autorità cinesi.

Secondo la Cnn, la paura è aumentata in seguito agli arresti dell’ex diplomatico canadese, impegnato con un’ong, Michael Kovrig e il consulente canadese Michael Spavor. Loro sono stati fermati poco dopo l’arresto dell’esecutiva di Huawei in Canada, Meng Wanzhou.

Per Jeff Wasserstrom, storico specializzato in Cina, il rischio di essere detenuto è basso, ma le conseguenze sono troppo gravi per rischiare, per cui non pensa che tornerà nel Paese asiatico, almeno finché Xi Jinping è al potere.

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