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C’era una volta una bomba a Natanz (forse)

Qualunque cosa sia successa all’impianto nucleare di Natanz, c’è un punto in comune: Teheran ha perso una leva negoziale, avendo subito un rallentamento alle capacità di arricchire l’uranio. I colloqui sulla ricomposizione del Jcpoa come procederanno?

Il vice ministro degli Esteri iraniano, appena arrivato per una riunione sul nucleare a Vienna, ha annunciato che ha avviato l’arricchimento dell’uranio al 60 per cento – forse a Fordo, forse Natanz. Quest’ultimo impianto è lo stesso in cui, secondo il New York Times (che ha sentito funzionari dell’intelligence americani e israeliani) domenica 11 aprile è esplosa una bomba. È l’ultimo aggiornamento alla storia del momento: l’incidente nel principale impianto dove la Repubblica islamica porta avanti il suo programma atomico.

L’arricchimento come forma di rappresaglia; quella bomba (o quel sabotaggio: cyber?) esplosa mentre nel grande stabilimento in cui si arricchisce l’uranio c’erano centinaia di dipendenti. Molti lati grigi (comprese le reali capacità di Teheran di tener fede all’annuncio del vice ministro, visto i danni subiti dopo quel che è successo a Natanz).

Sabato 10 aprile nell’impianto si è festeggiata la Giornata del nucleare in Iran, ossia l’anniversario del lancio del programma (militare e civile) che dovrebbe trasformare l’Iran in una potenza e che invece ha creato enormi problemi al Paese, finito sotto una cortina di sanzioni che ne hanno schiacciato l’economia per anni. Poi c’è stato il Jcpoa, l’accordo del 2015 per congelare il programma atomico di Teheran chiuso dal CdS Onu e dall’Europa, che togliendo le misure aveva ridato speranza agli iraniani, ma ora è finito in stallo effettivo per via dell’uscita unilaterale degli Stati Uniti.

Era maggio 2018 quando la Washington trumpiana si ritirava da quello che i media internazionali chiamano “Nuke Deal”: ora l’amministrazione Biden sta faticosamente cercando la strada per rientrare (domani, mercoledì 14 aprile, ci sarà un secondo round di colloqui indiretti tra Usa e Iran, a Vienna, dove diplomatici europei faranno la staffetta tra le due delegazioni che ancora non si parlano vis-a-vis, sebbene da diverse settimane si discuta di una ricomposizione del quadro iniziale).

L’esplosione di Natanz è un momentum per questi negoziati? Possibile. Se è esplosa una bomba, come dicono al NYT, qualcuno deve avercela portata. Se è stato fatto saltare l’impianto elettrico, come dicono altre fonti ad altri media, qualcuno dall’interno deve averlo sabotato. Qualcosa di simile successe anche a luglio 2020 – sempre dall’interno. Non è digitalizzata la corrente nell’impianto, e anche un eventuale attacco cyber deve essere stato frutto di un’azione umana sul posto: ossia, qualcuno – come nel caso del sabotaggio con il malware Stuxnet del 2010 – dovrebbe aver messo il virus nel sistema dei computer interni alla grande centrale. Chi?

Per esempio, Israele potrebbe avere interesse nel rallentare il processo di arricchimento dell’uranio – che secondo le informazioni diffuse sarebbe stato rimandato indietro di nove mesi dopo l’esplosione di domenica. Contemporaneamente va valutato che l’arricchimento dell’uranio è la chiave di leva (di forza) negoziale dell’Iran, che al tavolo del Jcpoa chiede agli americani di togliere le sanzioni altrimenti procederebbe con l’arricchimento (che ha ragione militare) – a questo serviva l’annuncio, nella Giornata del nucleare, di aver iniziato l’uso delle nuove centrifughe Ir-9, dozzine di volte più rapide delle precedenti.

Ora Teheran è di fatto indebolita al tavolo delle trattative – e come e se procederanno non è chiaro. C’è poi anche la possibilità affascinante di un inside-job per rallentare i negoziati e non permettere all’attuale governo di intestarsi eventuali successi prima delle presidenziali di giugno. Intanto la Repubblica islamica ha annunciato di interrompere attività di cooperazione con l’Europa (questioni non proprio cruciali), perché vuol far pagare quello che succede agli E3, ossia i tre Stati europei del Jcpoa (Francia, Germania e Regno Unito). D’altronde non può farlo con gli Usa – perché sono loro che hanno in mano la decisione sulle sanzioni da togliere – e nemmeno alla Russia o alla Cina.

Oggi, 13 aprile, il ministro degli Esteri russo è in Iran, dove ha attaccato gli europei (colpevoli di essere schiavi della sanzioni americane) e ha annunciato che porterà avanti attività di mediazione a vantaggio di Teheran, con cui ha firmato anche accordi di cooperazione. Tutto mentre il collega iraniano accusava gli americani – e Israele – di voler indebolire Teheran. C’era molta retorica in questa visita, e i fatti di Natanz la rendono più funzionale. La stessa retorica di qualche settimana fa, quando il ministro degli Esteri cinese è rientrato in patria da Teheran con un accordo di cooperazione di 25 anni.

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