Italia e Stati Uniti celebrano i 160 anni di relazioni diplomatiche, un’occasione con Draghi (e Biden) di rilanciare il nostro ruolo nel mondo. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore a Washington
La celebrazione dei 160 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti offre l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del rapporto tra Roma e Washington. Il viaggio del ministro degli Esteri Luigi Di Maio avviene in un momento quanto mai cruciale, non solo per le relazioni transatlantiche, ma per la comunità internazionale nel suo complesso dal momento che all’emergenza sanitaria – purtroppo non ancora alle spalle – si è sommata quella economica. Gli Stati Uniti sembrano molto più avanti nel rispondere a entrambe queste urgenze: la campagna vaccinale viaggia al galoppo e i massicci piani di stimolo fiscale e di investimenti infrastrutturali lanciati da Joe Biden promettono di dare un impulso immediato alla crescita. Come si può porre dunque l’Italia nell’ambito di questa congiuntura, approfittando di eventuali spazi aperti per rilanciare il proprio ruolo internazionale?
Va detto innanzitutto che la missione di Di Maio negli States si inserisce ovviamente nel quadro della presidenza di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio nei suoi primi impegni internazionali è riuscito a tracciare con decisione i tratti della politica estera del suo governo. Capisaldi ne sono l’atlantismo, confermato con convinzione durante il discorso per la fiducia alle Camere, la volontà di tornare a essere protagonisti nel Mediterraneo, ribadita dalla scelta di effettuare il suo primo viaggio all’estero in Libia, e un atteggiamento fermo – oltre che privo di ambiguità – nei confronti di regimi autoritari come la Russia di Vladimir Putin (come evidenziato dalla reazione al recente episodio di spionaggio) e della Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
Con pochi messaggi, ma ben assestati, Draghi ha fatto capire ai partner internazionali da che parte sta l’Italia: questa postura improntata alla chiarezza, unita all’autorevolezza e al prestigio di cui il presidente del Consiglio gode nel mondo, non può che giovare ai rapporti con gli Stati Uniti. Una politica estera più cosciente dei valori e della responsabilità dell’Italia nel mondo, in particolare in alcune regioni chiave come quella mediterranea, può gettare le basi di un nuovo capitolo delle relazioni bilaterali, decisamente più fruttuoso rispetto agli ultimi anni. Il presidente Biden, attualmente concentrato più su priorità interne che di politica estera (nonostante la sua grande sensibilità per gli affari internazionali), potrebbe essere ben lieto del fatto che sia un Paese alleato – come l’Italia – che in questo momento si dimostra più disponibile a scendere in campo e dare un mano per affrontare questioni urgenti come la stabilità nell’area mediterranea.
L’Italia può essere poi per gli Stati Uniti un alleato utile e più assertivo anche nei confronti della Russia, in particolare nel quadro della Nato. La chiave di tutto sta nella soluzione della questione ucraina, in particolare nella regione del Donbass. Kiev ha manifestato il proprio desiderio di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica, circostanza che potrebbe causare una risposta molto aggressiva da parte di Mosca. La Nato ha deciso di gestire con delicatezza la questione per il momento, ribadendo che il processo di adesione dell’Ucraina non deve essere affrettato e che dovrebbe essere prima di tutto seguito da un rafforzamento dello stato di diritto.
Tuttavia, è chiaro che se l’Italia di Draghi riuscisse a coinvolgere gli altri partner europei nell’adottare un atteggiamento più fermo e risoluto nei confronti della Russia, inclusa la Germania alle prese con il suo impegno a costruire il gasdotto Nord Stream 2 per aumentare le forniture energetiche dalla Russia, allora per Putin diventerebbe più difficile approfittare delle debolezze europee (la “figuraccia” patita dall’Alto rappresentante Josep Borrell a Mosca grida ancora vendetta) per aumentare la propria influenza dal Mar Nero al Mediterraneo
Nel suo incontro bilaterale con il segretario di Stato Antony Blinken, Di Maio parlerà anche di altri due importanti dossier. Innanzitutto le relazioni con la Cina: sembrano appartenere a un’altra era le immagini in cui l’attuale capo della Farnesina firmava con l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte il memorandum di adesione italiana alla Nuova Via della Seta di Pechino, generando un po’ di sconcerto nelle cancellerie occidentali. Di Maio da allora ha avuto tempo e modi per chiarire la sua posizione e sottolineare gli interessi esclusivamente economici e commerciali che erano alla base di quel testo. Oggi – anche alla luce della pandemia – l’atteggiamento verso il Dragone è diventato molto più cauto e sulla partita degli asset tecnologici (5G, semiconduttori e infrastrutture critiche) l’Italia ha deciso di rimanere compatta con l’Unione europea e gli Stati Uniti di Biden, senza per questo rinunciare ai legittimi interessi legati alle opportunità di export nel mercato cinese.
Infine, l’Iran: l’Italia per ora non è coinvolta nei negoziati Jcpoa per la riduzione del nucleare iraniano, ma poiché Teheran è (o almeno era, prima delle sanzioni) un importante partner economico del nostro Paese, il governo Draghi avrebbe tutto l’interesse a promuovere una ripresa fruttuosa delle trattative ed eventualmente un allargamento dei suoi protagonisti. Dopo lo sbilanciamento della presidente di Donald Trump a favore di Israele e Arabia Saudita, con Biden potremmo assistere a una ricalibrazione dei rapporti degli Stati Uniti con il Medio Oriente, volti ad abbassare la temperatura delle conflittualità. A dieci anni dalle Primavere arabe, la stabilità della regione Mena è cruciale ed è giusto che l’Italia voglia essere della partita.
Insomma, sembrano esserci finalmente tutte le condizioni per rilanciare le relazioni transatlantiche tra Roma e Washington. I rapporti con gli Stati Uniti toccano tutti i settori: dal commercio alla scienza, passando per l’industria della Difesa e dalle infrastrutture, tutti questi settori potranno ricevere una nuova spinta. La sospensione dei dazi tra Stati Uniti e Unione europea favorirà l’export del nostro “made in Italy”; la cooperazione in campo farmaceutico è fondamentale nella lotta al Covid e nella cooperazione internazionale per far sì che i vaccini arrivino anche ai Paesi più poveri; il piano di investimenti infrastrutturali potrebbe favorire la partecipazione di grandi aziende italiane. Il G20 a presidenza italiana offre la cornice ideale per inserire tutti questi elementi e collegarli tra loro: non sprechiamo questa occasione irripetibile per tornare ad essere protagonisti nel mondo.