Il corsivo di Laura Harth, coordinatrice del consiglio scientifico del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, campaign director di Safeguard Defenders e liaison officer italiana per Ipac. Non c’è muro che riuscirà a staccare l’umanità della libertà che scorre come il sangue nelle sue vene
Rimango in qualche modo neofita nelle celebrazioni del 25 aprile. Una giornata fermamente – quasi geneticamente – incisa nelle menti e i cuori degli Italiani, un po’ come lo è l’11 novembre per la mia terra natia (il Belgio, ndr). Due guerre diverse, due scenari nazionali molto diversi tra di loro, ma con un comune denominatore emotivo: il ricordo, e tramite il ricordo la certezza che è speranza, che ogni male possa e sarà inevitabilmente sconfitta.
Per il secondo anno consecutivo “celebriamo” questa Giornata della Liberazione in modo molto anomalo, con un profondo amarcord nel veder e sentir i cieli di Roma sorvolati dalle Frecce tricolori a una distanza oggi quasi incolmabile a causa delle severe restrizioni che continuano a dominare le nostre vite quotidiani.
Ma quella bandiera fumosa che si forma e si dissolve quasi istantaneamente davanti i nostri occhi, questa bandiera tricolore orgogliosa che come un sogno improvviso ci appare mentre la primavera finalmente si fa strada, richiama i nostri cuori a quel grido supremo di “Libertà!”.
E si fanno naturalmente strada nella mente le righe sublimi di Franco Califano: “Chi mi vuole prigioniero non lo sa che non c’è muro che mi stacchi dalla libertà. Libertà che ho nelle vene, libertà che mi appartiene, libertà che è libertà”.
Quel bene supremo che ci spinge e invita alla creazione, alla gioia, alla fantasia e talvolta anche al semplice andare avanti quando la strada si fa in salita. Quel bene che è essenza della vita individuale e sociale. Quel bene che proprio per queste ragioni è universale nel suo richiamo e fa scendere in strada ancora oggi migliaia e migliaia di persone pronti a sfidare la morte con quella speranza che è ancora certezza che alla fine, inevitabilmente, anche il loro grido di libertà riuscirà a sconfiggere il male dei regimi che gli affligge.
Mentre la sorte dell’umanità sembra muoversi verso un ritorno al passato in molti, troppi, luoghi del mondo, incluso il nostro, da Yangon a Mosca, da Kowloon a Teheran, da Minsk ad Ankara, i cori che invitano a un futuro diverso sono incessanti. Risuonano con fervore da tutti gli angoli del mondo.
Ed è giusto ricordare, mentre riverberano quest’oggi anche nel cielo mattutino di Roma, che finiranno inevitabilmente a fare breccia in quei nuovi muri che il numero crescente di regimi atroci nel mondo cercano instancabilmente di erigere. Che non c’è muro che riuscirà a staccare l’umanità della libertà che scorre come il sangue nelle sue vene.