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Segretario dem, il mestiere più usurante del mondo. Il mosaico di Fusi

Per il momento Enrico Letta non può che pazientare e seminare. Avrebbe bisogno di un tempo che invece gli sfugge come sabbia tra le dita. Come per tutti i leader Pd, nel momento stesso in cui si è insediato è cominciato il logoramento. Il mosaico di Carlo Fusi

Effettivamente fare il segretario del Pd è il mestiere più usurante del mondo. Prendiamo Enrico Letta. È arrivato al Nazareno chiamato a gran voce (e col cappello in mano) dai dignitari del partito finiti in un vicolo cieco dopo il fallimento dell’abbraccio con il M5S e l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Draghi. Si è presentato con encomiabile impegno e un progetto politico che si può legittimamente criticare ma che nel desolante panorama politico attuale risulta più che dignitoso. Insomma esprime il volto serio e preparato di una classe dirigente correntizia dilaniata e in perenne contrasto, abbandonata dal suo segretario, direbbe la canzone, senza un vero perché.

Ebbene, a un figura così in quattro e quattr’otto arrivano tra i piedi due mine niente male. Senza riguardo, si potrebbe dire. O senza pietà.

La prima arriva dall’interno. L’ha confezionata Goffredo Bettini, ideologo dell’ex Zinga e costruttore di combinazioni politiche che neanche il vecchio D’Alema. Senza batter ciglio non solo fonda una sua corrente che è come usare il concime al posto della richiesta di diserbante. Ma poi tira fuori la storia che Giuseppe Conte è stato sbalzato di sella non per difficoltà sue e della maggioranza che guidava bensì per colpa di una sorta di complotto di poteri non meglio identificati. Una roba che non solo significa mascariare Draghi, ma se portata alle sue estreme conseguenze finisce per avvelenare il sentiero che dal Nazareno appunto porta su fino al Quirinale. Robetta tremenda robetta.

Letta fa buon viso a cattivo gioco, accarezza la corrente di Bettini senza scomunicarla, prende le distanze dal complotto però annusa un’aria mefitica interna al partito che senz’altro conosceva ma forse non immaginava così densa.

Poi, mentre fatica a riannodare i fili di candidature amministrative d’intesa col MoVimento che tuttavia non decollano, e in attesa che Giuseppi finalmente si insedi a cavallo della leadership pentastellata stabilendo una linea politica e un programma di indirizzo, gli arriva fra capo e collo il video di Beppe Grillo sul figlio indagato per stupro. Che gli squaderna davanti una realtà troppo spesso sottaciuta, chissà quanto strumentalmente. E cioè che nel momento dello stress, personale o politico non importa, emergono gli animal spirits dell’Elevato nonché Garante che gelano il terreno sul quale si muovono i grillini, imprigionando nel ghiaccio del Vaffa ancorché rivisitato quelli che restano accanto a Grillo, e facendo ruzzolare quelli che provano a distanziarsene. Quanto a Conte, una delusione. L’ex premier per un paio di giorni prova a verificare la procedibilità del suo né-né restandosene silenzioso e poi, costretto dall’uragano di polemiche, parla usando il medesimo schema ancorché rovesciato, il con-con al posto del né-né: con Grillo padre, ma anche con la ragazza presunta stuprata, figlia. Insomma invece di spegnere l’incendio, lo alimenta. Letta deplora e condanna: what else? Ma come uno spettro gli si para davanti lo stesso interrogativo di quando ha lasciato SciencePo della dolce – benché sotto lockdown – Parigi: che fare?

In realtà il leader del Pd ha un problema e non ancora una soluzione. Nel senso che quelle che gli si parano davanti i problemi li accrescono e non risolvono. Il problema è che al Pd manca un dieci per cento. Da tempo caracolla nei sondaggi intorno al 20 ma per diventare davvero decisivo e fare il mazziere del campo del centrosinistra deve avvicinarsi al 30. O almeno far intendere di potercisi avvicinare. Questo dieci per cento può ottenerlo insistendo con l’alleanza con i Cinquestelle qualunque cosa Conte li faccia diventare. Però loro sono al 17, dovrebbe innestare una collaborazione-competizione di complicata gestione e dagli esiti incerti. Col rischio di ritrovarsi un’altra sparata dell’ex comico che manda tutto all’aria.

Oppure Letta può rivolgersi dall’altra parte, e cercare quella percentuale nel campo opposto. Peggio mi sento. Si tratta infatti di imbastire un rapporto con personaggi come Calenda o Renzi. Quanto sia impervio è inutile dire. E anche qui il rischio è di lavorare per il re di Prussia, di logorarsi nella ricerca di una intesa che poi viene fatta saltare: da Calenda (forse) perché non accetta chi gli fa ombra; da Renzi (forse) per il solo gusto di farlo.

Il risultato è un labirinto nel quale Letta si muove con obbligata cautela senza aver ancora individuato il filo che lo porta all’uscita. Per il momento non può che pazientare e seminare. Avrebbe bisogno di un tempo che invece gli sfugge come sabbia tra le dita. Come per tutti i leader Pd, nel momento stesso in cui si è insediato è cominciato il logoramento. Quello del mestiere più estenuante del mondo.



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