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Libia, cosa c’è dietro alla serie di omicidi?

Da diversi giorni in Libia si registrano assassinii tra elementi (anche di rilievo) delle milizie. Da Zawiya a Bengasi, chi è stato ucciso e perché

“Ci sono molte figure controverse all’interno della Libia la cui presenza costituisce una minaccia per gli accordi politici e militari che hanno avuto luogo tra le fazioni libiche, e rappresentano anche una minaccia per il nuovo governo unificato a cui è stato affidato il compito di condurre come primo compito la riconciliazione nazionale nel Paese”. Un funzionario della sicurezza libico commenta in questo modo la serie di omicidi che in questi giorni riempiono la cronaca del Paese.

Figure di rilievo, come Mahmud al Werfalli, ufficiale dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), noto come il “macellaio di Bengasi”, salafita, ucciso con ogni probabilità mentre altre unità haftariane cercavano di arrestarlo proprio a Bengasi. Un’operazione che potrebbe rientrare in un repulisti in atto per cavalcare la fase di stabilizzazione. Ci sono due fermi, non ci sono informazioni e il capo della procura militare generale di Bengasi s’è lasciato sfuggire un commento a proposito dei disturbi psichiatrici di Werfalli.

Il capo miliziano dell’Est, Khalifa Haftar, è una fase interlocutoria: isolato dal processo diplomatico onusiano che ha eletto la nuova autorità esecutiva, ora ha riattivato i contatti col delegato della Nazioni Unite e ha recentemente invitato tutti i libici a porre le basi per la pace e ribadito la necessità di attuare il progetto di riconciliazione nazionale.

Nei giorni scorsi qualcosa di simile è successo anche in Tripolitania: per esempio, a sud di Tripoli è stato ucciso Muhammad Salem, noto col nome di Damouna, islamista, comandate di spicco della Brigata Al Sumud, ex capo della sicurezza presidenziale nel governo di Khalifa Ghwell. Damouna è una figura controversa di Misurata (centro di difesa politico-militare dell’attuale e del precedente governo onusiano, città-stato da cui proviene il nuovo premier Habdelhamid Dabaida).

Prima ancora era toccato a Osama Miloud Coco, un capo delle milizie Khidrawi di Zawiya, freddato da un commando armato mentre era a bordo della sua auto nella sua città natale. Sempre a Zawiya, una città dell’Ovest libico che sostiene il neonato governo onusiano, è stato ucciso anche il miliziano Muhammad Bakir. E a Tripoli è stato ucciso un poliziotto e rapito il capo del Comitato per la società civile. A Bari Walid è stato assassinato il muezzin.

Con una lettura pragmatica, questa serie di assassinii può essere vista come una accomodamento, un modo per eliminare figure scomode che potrebbero in qualche modo inficiare nel percorso di stabilizzazione. Sempre secondo questa visione pragmatica e cinica, è possibile che le forze in campo percepiscano che al momento è più conveniente seguire il flusso stabilizzante per questo vogliono evitare colpo di testa.

Warfalli per esempio era da tempo considerato molto problematico per le sue violenze e per la sua visione radicale dell’Islam. Figure come la sua creano problemi di sicurezza, e Bengasi secondo Haftar non può essere percepita come tale; altrimenti non può garantire le condizioni per la riapertura delle postazioni diplomatiche come il consolato italiano o quello di altri paesi europei; altrimenti viene meno la narrazione di tutore della sicurezza su cui Haftar basa il suo ruolo in Libia.

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