Il realismo impone di confrontarsi con tutti: franchezza, ma capacità di cooperare, perché la Libia deve migliorare in democrazia pur restando elemento centrale per la stabilità del Mediterraneo, quindi dell’Italia e dell’Europa. Il ruolo di Lamorgese e dei partiti della maggioranza, l’unità da trovare per affrontare l’indolenza europea sul tema delle migrazioni
Preso dalla campagna vaccinale e dalla necessità di far ripartire le attività economiche, Mario Draghi non ha dato molto peso alle reazioni della parte sinistra della sua maggioranza sull’atteggiamento nei confronti della Libia. “So di essere stato criticato” ha ammesso nella conferenza stampa dell’8 aprile dopo aver detto a Tripoli di essere soddisfatto “per quello che la Libia fa nei salvataggi”. L’ala più a sinistra aveva borbottato in silenzio oppure si era esposta con Matteo Orfini o Nicola Fratoianni che hanno definito inaccettabili quelle parole.
Dopo l’incontro con il primo ministro Hamid Dbeibah il presidente del Consiglio aveva specificato che la questione non è solo geopolitica, ma anche umanitaria e che l’Italia è uno dei pochi paesi ad avere corridoi umanitari. Concetto che ha ampliato nell’ultima conferenza stampa precisando che negli incontri era stata espressa preoccupazione per i diritti umani e che “siamo orientati al superamento dei centri di detenzione”. Forse, come ha notato Oscar Giannino su Twitter, sarebbe stato meglio spiegarlo a margine di quella visita.
Il realismo e i numeri
Il realismo impone di confrontarsi con tutti: franchezza, ma capacità di cooperare ha detto Draghi, perché la Libia deve migliorare in democrazia pur restando elemento centrale per la stabilità del Mediterraneo, quindi dell’Italia e dell’Europa. Il presidente ha definito il suo approccio “umano, equilibrato ed efficace”, riassunto delle enormi difficoltà di ogni governo perché l’immigrazione è uno dei temi più divisivi: se si può discutere su quale sia la migliore o la più efficace gestione del fenomeno in Italia, la grande maggioranza dei cittadini chiede (a qualunque governo) di frenare gli arrivi e di incentivare i rimpatri.
I dati del ministero dell’Interno indicano fino all’8 aprile 8.476 arrivi rispetto ai 2.914 dell’anno scorso, dei quali soprattutto tunisini (1.239) e cittadini della Costa d’Avorio (1.084). Secondo l’organizzazione Mediterranea Saving Humans, nei primi tre mesi di quest’anno la Guardia costiera libica ha intercettato e riportato a terra quasi 6mila persone, costrette in centri di detenzione. Le contraddizioni politiche sono dimostrate dal codice di condotta delle Ong, voluto dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti nell’agosto 2017, dal memorandum Italia-Libia firmato nel febbraio precedente dagli allora presidenti Paolo Gentiloni e Fayez al Serraj (entrambi tuttora in vigore) e dal decreto sicurezza della fine dell’anno scorso con il quale il governo Conte II modificò radicalmente i due decreti di Matteo Salvini.
Una legge troppo “accogliente”
Il pragmatismo di Draghi costringerà qualcuno a ingoiare bocconi amari, a cominciare da Roberto Saviano che sul Corriere della Sera si è lamentato molto di un cambio di passo che non c’è stato. La politica è anche definire che cos’è un cambio di passo. E’ noto che Minniti fu il primo a mettere un freno alle ondate migratorie favorite da quasi tutte le Ong che fungevano da fattore di attrazione, anche spegnendo il transponder di bordo, e quel codice che le costringeva a rispettare precise regole era accettato da tutti i Paesi dell’Unione europea e dalla quasi totalità delle Ong come l’ex ministro ha ricordato in una recente intervista alla Stampa. Una politica basata sull’idea europea che non possono essere accolti tutti quelli che cercano di arrivare.
A sinistra, però, il concetto di sicurezza è ondivago, e infatti Minniti non era ben visto, perché poi il governo giallorosso (nonostante i mal di pancia del Movimento 5 stelle) è andato ben oltre le modifiche ai decreti Salvini chieste dal presidente della Repubblica arrivando a prevedere il permesso di soggiorno ai migranti climatici, cioè a coloro che si muovono a causa di calamità naturali, pur essendo migranti economici. In sostanza, oggi è in vigore una normativa di massima apertura sull’immigrazione mentre il governo Draghi cerca di riallacciare rapporti con la Libia aumentando aiuti economici e strutturali.
I controlli sulle navi
Da un anno il metodo usato dal Viminale è il fermo amministrativo delle imbarcazioni delle Ong. L’ultimo caso è del 21 marzo quando la Guardia costiera ha comunicato il fermo della Sea Watch 3 per numerose carenze in materia di sicurezza della navigazione, protezione da incendi a bordo e altro. La nave aveva sbarcato 385 persone il 3 marzo. Stando ai dati di Matteo Villa dell’Ispi riportati dal Corriere della Sera il 14 marzo, il record del ministro Luciana Lamorgese c’è stato tra ottobre e dicembre 2020 con sette navi bloccate contemporaneamente: mentre con Salvini le Ong sono rimaste attive in mare 67 giorni e hanno atteso 263 giorni prima dell’assegnazione di un porto sicuro, con Lamorgese sono state in mare 289 giorni e hanno atteso un porto per 157 giorni. Rispetto al sequestro penale del Conte I, una sorta di dissuasione morbida del Conte II e del governo Draghi: le Ong devono capire che possono “perdere” le navi per mesi.
Libia e Sahel, Europa e Italia
Il vizio di guardare solo il cortile di casa nostra impedisce di dare la giusta rilevanza a quello che gli europei dovrebbero fare a sud della Libia. Il ministro Lorenzo Guerini alle commissioni Difesa di Camera e Senato ha ricordato la missione Takuba nel Sahel e la bilaterale Misin in Niger ribadendo che “il tutto deve essere messo a sistema con la nostra esigenza di stabilizzazione della Libia, paese fortemente influenzato dai fenomeni che si sviluppano nell’area saheliana”, con ciò che ne consegue sul Mediterraneo. Un approccio per il quale è essenziale “un salto di qualità dell’impegno dell’intera Europa”.
Dopo due giorni in Mali il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha annunciato un memorandum d’intesa in materia di immigrazione e sicurezza. Nei prossimi mesi, inoltre, l’Italia ospiterà una riunione della Coalizione anti Isis. Sostegno politico è arrivato da Raffaele Volpi, in qualità di esponente leghista pur con il peso della presidenza del Copasir, che appoggia “la rinnovata e determinata azione” di Draghi, Guerini e Di Maio perché “il superamento del pensiero timido in teatri come il Mediterraneo” è una scelta di “vivace e autorevole protagonismo”.
L’Italia, dunque, anche per la Lega dev’essere “attore di riferimento in alcune aree geografiche”. Indizi di sostanziale unità nazionale che potrebbe far prendere il toro per le corna, magari aumentando il peso militare in quelle aree parallelamente a iniziative diplomatiche. E qui Draghi dovrebbe assumersi un onere ulteriore: mettere sul piatto il suo prestigio per affrontare a viso aperto l’indolenza europea.