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L’intelligence Usa alza l’attenzione sulla sicurezza in Libia

Nel report del DNI sulle potenziali minacce globali ci sono alcuni passaggi sulla Libia, individuata come un terreno delicato perché il processo di stabilizzazione non ha ancora un quadro di sicurezza sufficiente

Il rapporto annuale di valutazione delle minacce dell’intelligence statunitense, pubblicato dall’Office of the Director of National Intelligence, si occupa anche di Libia e prevede che il Governo di unità nazionale di Abdelhamid Dabaiba dovrà affrontare sfide politiche, economiche e di sicurezza. Non sono enormi novità, ma conferme di un’attenzione di Washington al dossier soprattutto sul punto caldo: ossia la sicurezza e la condizioni di delicato (dis)equilibrio legata alle varie entità armate presenti sul terreno.

Il rapporto, pubblicato dall’agenzia che raccoglie l’operato di tutte le 17 diverse intelligence americane e spiegato al Congresso oggi, 14 aprile, ritiene che l’instabilità e il rischio di nuovi combattimenti nella guerra civile libica continueranno anche nel 2021, nonostante riconosce i progressi politici e economici in corso dopo l’investitura da parte dell’Onu di Dabaiba –  cui è stato affidato un ruolo ad interim per traghettare il aese alle elezioni del 24 dicembre.

La questione della sicurezza è in effetti cruciale: i rischi che episodi possano portare all’innesco di un conflitto più ampio rimangono, mentre le opposte fazioni libiche lottano per risolvere le loro divergenze e i player stranieri continuano a voler esercitare la loro influenza. Il report suggerisce che i paesi che sostengono le parti libiche continueranno “a iniettare” appoggio finanziario e militare alle parti che appoggiano.

Il potenziale punto critico è determinato dalla presenza sul terreno delle milizie e delle componenti militari che fanno capo alla Turchia, a protezione del governo onusiano con un accordo intergovernativo rinnovato di recente; e alla Russia, che si trova sul lato di chi fino all’ottobre del 2020 intendeva rovesciare il governo onusiano di Tripoli. E sebbene attualmente il lato Est sembra accodato nel processo di stabilizzazione, la questione è delicata.

La preoccupazione americana citata nel report riguarda la presenza di diverse centinaia (2000 il numero più probabile) di contractor del Wagner Group, una società di contractor militari che viene schierata in ambiti in cui il Cremlino è interessato a portare avanti attività di guerra ibrida. Per la comunità di intelligence americana la Russia li usa per “aumentare il suo potere, indebolire la leadership degli Stati Uniti, presentarsi come un mediatore indispensabile e ottenere diritti di accesso militare e opportunità economiche”.

La presenza di questi contractor russi è stata più volte sottolineata dal Pentagono, che con AfriCom ha praticamente seguito passo passo il loro schieramento e rafforzamento per mesi. Attualmente si trovano concentrati tra Sirte e Jufra, due città della Libia centrale. La prima si trova sulla golfo omonimo, ed è praticamente la linea del fronte del cessate il fuoco; l’altra è nell’entroterra e è considerata la base centrale delle forze dell’Est libico e della Russia, dove sono schierati anche Mig e Sukhoi.

Recentemente quegli aerei, che Mosca ha spostato dalla Siria senza insegne per camuffarli, sono stati fatti sfilare nei cieli di Sirte, seguendo in aria la traiettoria di un’opera fortificata che gli uomini della Wagner – con l’aiuto di altri mercenari sudanesi e ciadiani – hanno costruito per collegare le due roccaforti. Si tratta di una struttura composta da un fossato di un metro a cui segue un terrapieno alto altri due: una trincea nel deserto che si sussegue per circa 70 chilometri.

La Russia nega costantemente qualsiasi genere di coinvolgimento. Sulla presenza di combattetti stranieri nel teatro libico si gioca anche l’infowar, anche perché sono effettivamente individuati come la principale problematica alla stabilità futura della Libia dalla Comunità internazionale (che sia Onu, Usa, Ue, o Nato e Lega Araba, il cui segretario ha recentemente esposto il problema al ministro degli Esteri russo in visita al Cairo).

Recentemente Al Arabya (un media emirato avverso alla Turchia e schierato durante gli scontri sul lato della Cirenaica) ha scritto che Ankara avrebbe inviato un rafforzamento di truppe tramite combattetti siriani della brigata Sultan Murad – si tratta di ex ribelli siriani che ora il governo turco usa come asset armato ibrido su fronti complicati (per esempio sono in Libia, ma anche in Nagorno-Karabakh). Il turco Daily Sabah ha replicato scrivendo che il Wagner Group si sta preparando a inviare 300 siriani (milizie assadiste e filo-iraniane) per unirsi alle forze del capo miliziano che ha condotto l’ultima offensiva su Tripoli, Khalifa Haftar.

Di questi invii è difficile trovare riscontro effettivo, ma sono le stesse Nazioni Unite ad aver ammesso che l’embargo sull’invio di armi (e combattenti) in Libia non sta funzionando. Di più: la missione europea “Irini”, avviata il 31 marzo 2020 e creata col compito di controllare quell’embargo, è stata recentemente rinnovata per altri due anni e si avvia verso una necessaria implementazione. Fermare le armi e i combattenti è una forma di assistenza cruciale per consolidare la stabilizzazione.

(Foto: Twitter, Oded Berkowitz, una via di Tripoli vista dal mirino di un uomo della Wagner durante gli scontri dello scorso anno)


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