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Biden e Draghi, pragmatismo in azione. Parla Massolo

Non un “do-ut-des”, ma un insieme di partnership e responsabilità. Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi e di Fincantieri, legge l’alleanza fra gli Usa di Biden e l’Italia di Draghi dopo la visita di Di Maio a Washington DC. Libia, Russia, energia, web tax, ecco i nodi da sciogliere (subito)

Partnership e responsabilità. Non c’è un semplice “do ut des” a guidare i rapporti fra l’Italia di Mario Draghi e gli Stati Uniti di Joe Biden a 160 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche bilaterali, ma “un’equazione”, dice l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi e di Fincantieri, già direttore generale del Dis. La visita del ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Washington DC ha posto basi solide per un’alleanza valoriale ma anche pragmatica. Ora spetta alla politica italiana cogliere l’occasione.

Massolo, che bilancio fare della missione?

È stata un successo. Non solo perché Di Maio è il primo ministro degli Esteri europei ricevuto a Washington DC, ma anche perché rappresenta un governo che fa dell’atlantismo e di un’Europa più coesa in Occidente un suo tratto distintivo. In sintonia con un’amministrazione americana che abbraccia una dimensione valoriale della politica estera, senza perdere per questo un sano pragmatismo.

Cosa ci chiedono gli Usa?

Biden ci offre una partnership, e chiede responsabilità. Credo che il governo Draghi abbia inviato i segnali giusti. Tre in particolare.

Quali?

La ferma reazione all’episodio dello spionaggio russo a Roma. La prima visita di Draghi in Libia. La fermezza, ma anche l’apertura a un dialogo con la Turchia di Erdogan, un Paese con cui non si può non collaborare. Partnership e responsabilità, questa è l’equazione.

Qui a Roma l’hanno capita?

Auguriamoci che il sistema politico italiano la rispetti. Il governo Draghi ha iniziato con un’impostazione da Paese maturo: fermo nei principi e nelle alleanze, aperto a collaborazioni, con un forte spirito di realtà. Se ne sono accorti a Washington e a Mosca, ad Ankara e Pechino. Spero i partiti facciano altrettanto.

Di Maio ha annunciato un nuovo interessamento degli Usa al dossier libico. Lo ritiene credibile?

Una cosa è certa: l’Italia ha tutto l’interesse che gli Usa tornino a rivolgere la loro attenzione nel Mediterraneo. Non serve necessariamente un “hard power” con flotte e mezzi militari. Basta una presenza che consenta di riequilibrare il concerto di potenze per limitare le spinte egemoniche di Turchia e Russia. Due Paesi che hanno preso il controllo di fronte a un’Europa disattenta e disunita. Ovviamente anche questo sforzo non sarà gratis.

Al centro dei colloqui la sfida dei vaccini. Può nascere un’intesa fra Italia e Usa?

Bisogna fare una premessa. L’atteggiamento “America first” degli Stati Uniti sui vaccini non ha fatto una grande impressione sulla comunità internazionale. Di Maio è andato a Washington a dire: lavoriamo insieme sulla campagna vaccinale, le forniture e le licenze, i contratti. Facciamo insieme una moral suasion sui big pharma.

Il ministro degli Esteri ha parlato anche di “geopolitica” vaccinale dall’Oriente. A cosa si riferisce?

Ai vaccini di Russia e Cina. Entrambi hanno già mostrato i loro limiti. Per quello cinese ci è voluto il Brasile a spiegare che è inefficace. La Russia invece, piuttosto che vaccinare i suoi cittadini, esporta milioni di dosi di Sputnik V all’estero. Peraltro, finora, non abbiamo prove sulla sua effettiva validità.

Sul fronte commerciale non mancano tensioni. L’Italia può fare da pontiere per la diatriba sulla web tax?

Le divergenze sulla web tax si stanno progressivamente appianando. Il G20 a guida italiana sarà un foro negoziale decisivo per discuterne. La proposta di Yanet Yellen e della stessa amministrazione Biden per una minimum tax va nella giusta direzione.

Ecco un altro fronte di discordia: la Russia. L’escalation al confine ucraino costringerà presto l’Europa a una scelta di campo. L’Italia da che parte deve stare?

Italia ed Europa non hanno scelta: devono stare con la Nato. Putin potrebbe presto spingere sull’acceleratore della crisi nel Donbas e nell’Ucraina orientale per testare Joe Biden, la capacità di reazione americana e la compattezza degli alleati. Il rischio è concreto a giudicare dall’escalation. Il fronte occidentale dovrà mostrarsi unito.

Insieme a Blinken, c’era anche l’inviato speciale per il Clima John Kerry ad accogliere Di Maio. L’Italia quest’anno ha la presidenza del G20 e la co-presidenza del Cop26. Si parla solo di energia green o ci sono anche implicazioni sul fronte della sicurezza?

C’è un grande tema tecnologico. Ovvero il rischio che, come è successo per il 5G, l’Intelligenza artificiale o il quantum computing, nasca una nuova gara geopolitica alle tecnologie pulite fra Cina e Stati Uniti. Già assistiamo a un accenno di decoupling. L’Italia e l’Europa devono evitare che un campo di collaborazione trasversale si trasformi in un campo di guerra.

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