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Perché l’Arabia Saudita scommette sulla diplomazia del clima. Parla Francescon

Intervista a Silvia Francescon, senior policy advisor e componente del comitato esperti G20 gruppo energia e clima presso il Mite: “L’Arabia Saudita ha compreso l’importanza anche geopolitica della climate diplomacy e annuncia l’ambiziosissima Middle East Green Initiative. Così il clima diventa l’elemento che consente ai big di parlarsi”

Una transizione energetica al 50% entro il 2030: è ambiziosissima la Middle East Green Initiative annunciata dal principe Moḥammad bin Salmān per l’Arabia Saudita, dice a Formiche.net Silvia Francescon, senior policy advisor e componente del comitato esperti G20 gruppo energia e clima presso il Mite. L’Arabia Saudita ha compreso l’importanza anche geopolitica della climate diplomacy e annuncia tra le altre cose 10 miliardi di nuovi alberi da piantare. Inoltre il clima assume un ruolo prezioso, perché diventa la zattera di avvicinamento tra Paesi e che consentirà a Usa, Cina e Russia di parlarsi dopo aspri confronti.

Joe Biden lancia la strategia green e Mbs rilancia con la Middle East Green Initiative del Regno: con quali prospettive di alleanze ed equilibri?

Secondo me non è una risposta a Biden, magari lo è diventata in seguito, ma la decisione era stata presa ben prima del cambio di amministrazione Usa. Sono stata in Arabia Saudita ben prima dell’esito elettorale americano e l’intera componente green era già presente nella testa di Mbs da tempo, al di là del progetto Vision 2030. È ben consapevole che non può dipendere dal petrolio, quindi punta ad un’economia più diversificata. Ricordo che, dovendo immaginare le grandi iniziative del G20, una buona parte del bagaglio di proposte e idee di cui leggiamo oggi, erano già parte del dibattito.

Come il voler piantare 10 miliardi di alberi?

Esatto, era uno dei punti che Mbs avrebbe voluto che uscissero dalla sua presidenza del G20. Per cui non è una risposta a Biden, all’epoca non si sapeva che Biden avesse vinto: erano i mesi prima del Covid e tutti pensavamo che Trump avesse delle possibilità anche consistenti. Ma non solo alberi direi, anche sugli oceani c’erano state proposte precise, sulla barriera corallina, sulla desertificazione nei territori, sullo sviluppo sostenibile. Non sto dicendo che l’Arabia Saudita si è improvvisamente trasformata in un Paese con standard ambientali scandinavi, ma lì è evidentemente nata da tempo una consapevolezza: per sopravvivere bisogna diversificare.

Di pari passo c’è anche l’ambizione di essere un leader interazionale?

Sì. Una transizione energetica al 50% entro il 2030: è ambiziosissima la Middle East Green Initiative annunciata dal principe Moḥammad bin Salmān per l’Arabia Saudita. Il governo ha capito che la questione ambientale può far identificare Mbs come un leader regionale e internazionale. Essendo unico Paese arabo nel G20, i sauditi avvertono molto questo senso di leadership. L’ottica di trasformazione interna può essere l’opportunità di un rafforzamento. Mbs guarda anche molto al segmento africano.

La volontà di riallinearsi con Washington dopo il caso Khashoggi potrebbe trovare un punto cardine nel green? E quali i riverberi internazionali verso Cina e Russia?

Il green sarà al centro del vertice convocato da Biden, con la presenza di Xi e Putin: ci sono state fortissime prese di posizione americane fino ad ora, come le parole di Biden verso Mosca e Pechino, oltre che il rapporto della Cia sul giornalista saudita ucciso. Al contempo la questione climatica necessita di cooperazione, quindi ci sarà necessità di sedersi ad un tavolo. In fondo l’accordo di Parigi nacque proprio da un dialogo tra Obama e Xi che, al di là del ruolo europeo, fu la vera molla. Il clima diventa così l’elemento che consente a questi players di avviare un dialogo costruttivo. Non è un caso che Biden abbia nominato John Kerry all’interno del National Security Council: il clima è una questione geopolitica e industriale, non solo relativa all’ambiente.

La diversificazione saudita cosa comporta rispetto al passato da “petro-monarchia”?

Ho potuto constatare di persona che è un Paese in grandissima trasformazione, certo con ancora grossi limiti che non vanno tenuti nascosti come i diritti umani, lo stato delle donne e la stessa economia, ancora troppo dipendente dal petrolio. Però visitando l’Arabia Saudita periodicamente se ne percepisce a occhio nudo la rapidità di cambiamenti e progressi: questo va riconosciuto. Porto un esempio concreto: il Principe aveva deciso che le donne potessero guidare e a Riad ho visto tantissime donne al volante durante le mie visite. Significa che tra il processo decisionale e quello attuativo non si è perso del tempo. Non dimentichiamo che l’Arabia Saudita è un Paese di giovani e Mbs è la macchina che muove l’intera evoluzione saudita, visto che il re non si muove più.

Che peso specifico avrà questa nuova diplomazia del clima? La transizione green varrà quanto un memorandum, anche sui mercati e nella geopolitica?

Penso che prevarrà il pragmatismo da parte di Washington, un elemento che condizionerà anche l’Europa nel modo di raffrontarsi con questi Paesi. Quindi sì al dialogo, ma al contempo nessuno dei players nasconderà cosa pensa dei diritti umani in Arabia Saudita. Non è più un dialogo sottomesso, come quando si evitava di nominare il genocidio in Cina. Ma gli elementi valoriali entrano nel rapporto bilaterale: è questo un elemento assolutamente positivo.

Il green come nuova zattera di avvicinamento tra Paesi?

Sì, è diventato un elemento di intesa anche perché oggi esiste il business relativo.

twitter@FDepalo

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