Il caso del dossier Oms sparito sull’Italia che ora mette sulla graticola il ministro della Salute Roberto Speranza è in realtà il riflesso di una accountability politica che le organizzazioni internazionali, dall’Oms alla Fao, hanno perso da tempo. Il commento di Igor Pellicciari (Università di Urbino / Luiss)
Una regola non scritta della storiografia è che debbano passare almeno due decenni da un particolare avvenimento prima che sia legittimo occuparsene e formulare un primo giudizio compiuto.
L’orientamento concreto è andato spesso in senso opposto e frequenti sono i lavori che si spingono ad osservare avvenimenti quasi contemporanei, assottigliando in particolare nelle relazioni e istituzioni internazionali le distinzioni tra scienziati sociali e storici.
I primi (come Angelo Panebianco) sono ricorsi al metodo storico a completamento dei propri modelli teorici, mentre i secondi (come Ennio Di Nolfo) hanno abbondato di strumenti concettuali nella propria storiografia.
Esattamente un anno fa (3 maggio 2020) dedicammo un duro articolo su queste pagine ai fallimenti dell’OMS (https://formiche.net/2020/05/oms-storia-fallimento-scritto-analisi-pellicciari/), con considerazioni al contempo storiche e organizzative.
Denunciammo che, come altre simili agenzie multilaterali, era stata incapace di guadagnarsi autonomia dai propri azionisti Stati-Nazione di riferimento.
Nei decenni era proliferata in strutture burocratiche ridondanti; dominate da funzionari amministrativi parapolitici determinati alla propria auto-preservazione e restii ad ogni reale proposta di autoriforma, con cambiamenti di facciata e nominali.
Nel gestire i processi piuttosto che governarli, l’OMS ha rinunciato alla propria political accountability oltre a “…la capacità di imporre una scomoda verità tecnica alla pressione politica esterna del momento”.
Quest’ultime parole profetiche contestualizzano la chat che di lì a poco (18 maggio 2020) intercorre tra Ranieri Guerra e Silvio Brusaferro, coinvolgendo il Ministro della Salute Roberto Speranza, sulla quale si è oggi concentrata l’azione degli inquirenti e un duro scontro politico.
Sul lavoro della prima non spetta all’analista interferire, su alcuni degli argomenti che animano il secondo va invece fatta chiarezza, al netto di facili sentenze guidate dalla convenienza politica del momento da parte degli attori in gioco.
Tipico dell’iper-tatticismo italiano, la chat è stata isolata come se fosse un unicum sospeso senza un passato e un futuro, riconducibile solo al profilo caratteriale e alle scelte dei singoli coinvolti, unici responsabili.
È un approccio comodo e immediato che alla lunga promuove la retorica del “mai più” e impedisce di affrontare il problema generale strutturale perché non lo vede (o fa finta di non vederlo).
Errore di metodo simile a quando si argomenta che il conflitto di interessi sia in Italia esclusiva di una sola parte politica piuttosto che fenomeno trasversale che – con intensità diverse – taglia tutto il ceto politico ed il contesto sociale che lo legittima.
Forti dell’impietoso quadro organizzativo dato inizialmente dell’Oms e della notoria separazione italiana tra governo (politico) e potere (amministrativo), ci sarebbe da chiedersi se cambiando i nomi dei protagonisti, il risultato sarebbe mutato.
Ovvero, se il rapporto tecnico critico per la gestione italiana della pandemia sarebbe circolato liberamente, distribuito dallo stesso governo oggetto delle sue critiche senza appello.
Che ci creda l’opinione pubblica è legittimo; meno i rappresentanti politici di lungo corso portatori di uno sdegno che suona ipocrita (e che, a sua volta, è caratteristica sistemica e non esclusiva di chi lo esprime nell’occasione).
Per lo storico delle organizzazioni internazionali l’eccezionalità dell’episodio non sta nel comportamento del direttore vicario dell’Oms arrivato alla prestigiosa carica direttamente dal ministero della Salute italiano e grazie ad un fondamentale appoggio governativo di Roma. Lo dimostra la sicurezza e determinazione con cui Ranieri Guerra agisce nell’occasione (e ne parla con libertà al telefono).
Ad essere irrituale e raro piuttosto è il comportamento del funzionario intermedio dell’Oms, Francesco Zambon, che, noncurante del mettere a repentaglio il suo posto di lavoro, difende il rapporto tecnico invece di accettare senza fiatare l’ordine politico superiore, come accade quasi sempre in ogni organizzazione internazionale.
Né c’è da meravigliarsi che sia la prassi in realtà burocratiche sviluppatesi al riparo dall’azione delle giurisdizioni nazionali, giudici dei propri contenziosi amministrativi interni anche quando sono parte in causa, protette da anacronistiche immunità, senza obblighi di trasparenza alcuna nelle comunicazioni verso l’esterno. Portatori di una cultura amministrativa dove i valutatori dipendono in toto dai valutati, che ne controllano la carriera, compromettendo le condizioni per un giudizio indipendente.
In definitiva, organizzazioni forti con i deboli (amministrativi) e deboli con i forti (politici).
Per quanto riguarda il governo italiano, al massimo si può discutere di responsabilità politiche per Ministri che molto poco sanno dell’argomento in oggetto, ostaggi di alti livelli della funzione pubblica, inamovibili e potentissimi, da cui dipendono nell’affrontare finanche le minime quotidiane incombenze ministeriali, come scrivere una generica lettera.
Cercare un risvolto penale nell’operato di Speranza sul caso Oms equivale al volere accusare Matteo Salvini di sequestro di persona nel caso Gregoretti. È una forzatura prima di tutto costituzionale.
Come sarebbe una forzatura ipotizzare in futuro che la Fao faccia circolare un duro documento critico nel dettaglio con Roma per la debolezza delle sue politiche agricole nazionali. Non perché esse siano ideali e non meritino uno sguardo critico, ma perché dal gennaio 2021 vicedirettore generale della Fao è Maurizio Martina, già Segretario Nazionale del Pd. Ma soprattutto, già ministro delle Politiche Agricole della Repubblica Italiana.