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Francesco, un mese dopo Mosul. Quale altra strada per il Mediterraneo?

È passato un mese dal viaggio di papa Francesco in Iraq durante il quale ha posto le basi per ricostruire lo spazio Mediterraneo. Ma ha posto anche le basi per ricostruire il nostro ruolo, che è quello di cittadini, e non di segregati nella cittadella assediata che non potrebbe vivere con i suoi vicini. La rivoluzione di Francesco potrebbe cambiare tutto il nostro contesto geografico, il nostro presente e il nostro futuro. La riflessione di Riccardo Cristiano

Un mese fa, recandosi nel cuore devastato dell’Iraq che ha visto tutti perseguitati, dall’Isis innanzitutto e poi dalle milizie revansciste, papa Francesco ha spezzato l’asse eretico islamo-cristiano che vuole fare delle religioni ideologie in urto ma saldamente alleate del liberismo economico finanziario. Questo asse di opposti va spiegato, per capire la prospettiva e la portata del viaggio e delle sue possibili ricadute nel mondo islamico e nel nostro.

La parte cattolica del lavoro è stata realizzata con assoluta efficacia e competenza dal professor Massimo Borghesi con il suo ultimo libro “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo”, presentato qui su Formiche.net in recensione e in una pregevole intervista. Borghesi dimostra che dopo la caduta dell’impero sovietico le critiche di Giovanni Paolo II al sistema capitalista vennero capovolte dai teocon in lodi. Insomma, dall’idea di usare la caduta dell’impero sovietico per procedere verso equità e giustizia sociale si passava alla tesi che il mondo cattolico si riconosceva nel capitalismo liberista, nella teoria dello scontro di civiltà e quindi, di lì a breve, nell’invasione dell’Iraq.

In un contesto diverso, quello del mondo islamico, negli stessi anni, cosa accadeva? Qui non possiamo avvalerci di una documentazione in appendice, con tanto di citazioni, ma i fatti sono noti e alcune costanti spiccano. La guerra dei mujaheddin del popolo contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan vede emergere la nota figura di un miliardario, bin Laden. La vittoria del suo campo però, il 14 febbraio 1989, venne “rubata” dal campo uguale e contrario, l’altro fanatismo religioso che voleva e vuole conquistare l’Islam, quello khomeinista. Il 15 febbraio 1989 infatti Khomeini annunciò la fatwa contro Salman Rushdie, una tempistica assurda se non spiegasse che il nemico vero è quello interno, la lotta era ed è quella per conquistare l’islam a un’ideologia. Dunque bin Laden e soci da una parte, nel campo dei sunniti, e Khomeini e i suoi pasdaran nel campo sciita si sono contesi da allora il jihad mondiale con la finalità di capovolgere e conquistare tutto l’Islam. Anche a Tehran i khomeinisti non hanno problemi con il liberismo, lo dimostrano le sempre più cospicue speculazioni finanziarie dei pasdaran e di Hezbollah, che si sommano poi a traffici illeciti di narcotici in mezzo mondo. Dunque, in termini diversi dal confronto cattolico, due ideologie compatibili con il capitalismo liberista e radicate nello scontro di civiltà si candidano nello stesso arco temporale dei teocon a conquistare l’islam alla loro ideologia. Il cerchio si chiude quando un altro miliardario, Khairat al Shater, assume la guida dell’altra forza dell’Islam politico, i Fratelli Musulmani.

Le fondamenta teologiche di tutti questi pensieri islamici sono molto diverse da quelle dell’ideologia teocon, si ritrovano nel rifiuto del mondo, che per loro è un complotto maligno. Ma le compatibilità sono le stesse: scontro di civiltà, capitalismo finanziario, religione assai simile a un’ ideologia.

L’elezione di Francesco taglia l’erba sotto i ponti a tutti i giochi. La fratellanza di Francesco non parla certo di una mega-religione totale, ma di fratellanza tra diversi che tornano fratelli proprio perché diversi e riscoprono le loro spiritualità. Questo libera sunniti e sciiti dall’idea degli estremisti di essere in urto col mondo perché offre loro una sponda di amicizia, di fratellanza. Questa offerta cambia tutto nel discorso religioso islamico e chiarisce profondamente quello cristiano alla luce dell’insegnamento conciliare: la fede non è una certezza fuori dalla quale ci sono solo false credenze e quindi una falsa umanità, nessuno di di noi è padrone dello Spirito Santo e delle sue strade. Le nostre diversità sono viste piuttosto come parte del sapiente disegno divino che ci chiede di vivere insieme. Questo cuore del messaggio radicalmente evangelico di Francesco viene capito e condiviso dalla principale autorità teologica sunnita, l’imam al Tayyeb, e dall’ayatollah al-Sistani.

Andando in Iraq Francesco è andato nell’epicentro del terremoto che ha scosso islam e cristianesimo dal 2003, affermando cesaropapismo e teocrazia. La teocrazia khomeinista, eretica allo sciismo, la teocrazia dell’Isis, eretica al sunnismo, e il cesaropapismo di molti patriarchi, eresia rassegnata all’idea che l’islam sia una malattia ontologica e che quindi solo un despota benevolente per calcolo possa proteggerli. Questo cesaropapismo orientale ricorda la deriva di parte dell’ortodossia russa, strutturalmente sottoposta ai voleri del Cremlino come capì Giovanni Paolo II dicendo al professor Andrea Riccardi che questo è il motivo per cui non parla mai dei suoi tantissimi martiri del tempo sovietico.

Sunniti, sciiti e cristiani dunque possono, o potrebbero, vivere insieme. Non c’è una sopraffazione connaturata all’ homus islamicus, non c’è la condanna alla protezione di un despota benevolente per calcolo per i cristiani di lì.
Ovviamente questa fratellanza propone libertà ed eguaglianza tra i diversi, regalando finalmente agli arabi l’idea che una nazione non è una comunità religiosa, ma persone che condividono uno spazio geografico nel nome di una scelta comune. Estranea alla cultura araba fino all’Ottocento, l’idea di nazione vi è entrata corrotta dalla forma dell’Ancien Regime prima e dei nazionalismi europei ammalatisi poco dopo. Ecco perché anche i laici non hanno mai avuto un’idea di nazione come libera convivenza di diversi, inventandosi quel panarabismo che crea un arabo astratto dalla sua realtà ed esclude i non arabi (come i curdi, per fare un esempio).

Così il viaggio di Francesco ha posto le basi per un reciproco riconoscimento di fratellanza tra sunniti e sciiti, liberati dalle opposte eresie teocratiche che li hanno condotti a uccidersi tra di loro e a ridurre le loro comunità di fede o a milizie o a traditori della vera fede, come dimostra la ferocia dell’Isis e dei pasdaran con i dissidenti.

Dunque un mese fa Francesco ha posto le basi per ricostruire lo spazio Mediterraneo, a partire dall’Iraq. Ma ha posto anche le basi per ricostruire il nostro ruolo nel Mediteranno, che è quello di cittadini, e non di segregati nella cittadella assediata che non potrebbe vivere con i suoi vicini.

La rivoluzione di Francesco potrebbe cambiare tutto il nostro contesto geografico, il nostro presente e il nostro futuro. Ma richiede di superare le secche di una cultura dell’egoismo che accomuna tutti le ideologie religiose che la avversano. Così non può non colpire che proprio in queste ore circolino voci di un’imminente visita in Vaticano del premier designato libanese, Saad Hariri. Il Libano, uno Stato economicamente fallito, attende un governo dal giorno dell’esplosione del suo porto, il 4 agosto scorso. Il Libano è il punto d’arrivo delle forze in armi per conquistare l’Islam e che partono da Baghdad. Per questo salvare l’ultima città cosmopolita del Levante è una priorità. Non sorprende se ne ricordasse solo il Vaticano, mentre la Francia piega la sua supposta mediazione alle pieghe di un tribalismo politico che porterebbe soltanto a ritardare la certificazione di morte di quello che è stato il Paese dei Cedri. Il viaggio di Francesco a Beirut è l’ultima speranza, ma se la politica non fa la sua parte non si potrà chiedere al papa addirittura di sostituirla. È la tragedia che sta vivendo in queste ore il patriarca maronita, unico che ha una proposta capace di salvare il Paese nella neutralità dalle guerre ideologico-religiose che insanguinano il mondo arabo. Una proposta che sembra iscritta nella fratellanza di Francesco, la sola che potrebbe salvare il Libano. E non solo.



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