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Papa Francesco e il ciclone diplomatico del pontificato della fratellanza

Il presidente ucraino Zelensky ipotizza un incontro con il presidente russo Putin nella Santa Sede, che potrebbe essere “luogo ideale dove dialogare della pace nel Donbas”. Riccardo Cristiano riflette sul senso profondo della diplomazia vaticana con la quale Bergoglio conferma l’urgenza di una efficace riforma dell’Onu che proprio lui, l’autorità morale riconosciuta dal mondo, ha definito urgente nel suo messaggio al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale

 

I realisti affermano da tempo che l’Onu è morta ai tempi dell’assedio di Sarajevo, durante le devastanti guerre balcaniche. E siccome si muore una volta sola le circostanze successive non avrebbero fatto che confermare il decesso.

Il mondo ha appreso come scatenare nuovi conflitti, tra i grovigli irrisolti sono emersi nuovi soggetti sempre più inquietanti, ma la morte dell’Onu, al di là delle qualità dei suoi segretari generali che non sono in discussione, è rimasta evidente quando si è cercato il modo di uscire dalle contese militari. Sono state le singole potenze globali o di area a “intervenire”, ma il bisogno di un mediatore autorevole, riconosciuto, un “honest broker” che sapesse garantire alle parti onestà, autorevolezza e credibilità è rimasto, anzi, è aumentato.

È emerso anche così, dal 2013, il ciclone diplomatico papa Francesco. Il suo Vaticano non ha accettato di farsi tirare da una parte o dall’altra, seguendo la dottrina diplomatica del suo più noto diplomatico del tempo contemporaneo, quel cardinal Agostino Casaroli che ha intitolato le sue memorie “il martirio della pazienza” dicendo non solo che la pazienza è una fatica da martiri, ma anche la pazienza spesso è martirizzata.

Casaroli, segretario di Stato vaticano di Giovanni Paolo II, seppe aprire la strada dei viaggi polacchi di Karol Wojtyla quando Breznev sconsigliava i polacchi dal fare aperture. Nel primo viaggio polacco lui lanciò l’idea di un pellegrinaggio mariano a maggio, per poi accettare una data diversa. Varsavia respirò, ma il dado era tratto, sebbene non a maggio. L’idea che il pontificato di Giovanni Paolo II non sia stato questo è sbagliata. Il “papa polacco” aprì il suo pontificato chiedendo il ritorno degli ambasciatori dell’est europeo, non il contrario. Una Chiesa fedele al Vangelo  è “per”. Non a caso la sua enciclica successiva al crollo del muro propugnava un’epoca nuova, non il trionfo liberista.

La scelta del segretario di Stato operata da Francesco, che ha designato all’incarico il cardinale Pietro Parolin, formatosi alla scuola del cardinale Agostino Casaroli, ha tradotto in visione diplomatica il pontificato della fratellanza: parlare in loco ma aiutare diplomaticamente, senza legarsi le mani a blocchi predefiniti, per far avanzare la pace. È un po’ la storia della “Ostpolitik” con la Cina: facile chiudere, più difficile portare avanti il dialogo, per il bene dei cristiani di lì e di tutti i cinesi.

Ora l’honest broker che ha firmato l’enciclica Fratelli tutti viene riconosciuto, per il semplice fatto che è l’unico honest broker esistente. Lo dice il presidente ucraino Zelensky nell’intervista rilasciata a Repubblica e in pagina oggi, nella quale ipotizza un incontro con il presidente russo Putin: “La Santa Sede potrebbe essere il luogo ideale dove dialogare della pace nel Donbas. Un mediatore con tale autorevolezza apporterebbe la fiducia che è mancata finora ai nostri tentativi di raggiungere un accordo”. Mediatore credibile anche per la resistenza di Francesco a tagliare i ponti con Mosca, nonostante le sofferenze dei cattolici.

Un caso? No. Una credibilità conquistata sul campo non solo parlando ma operando per la fratellanza, tenendosi le mani libere da intese preventive, ideologiche o politiche. Un cattolicesimo globale, non occidentale, è questo. Basti pensare che in queste ore la pazzesca crisi politica libanese, che vede il premier incaricato e il Presidente della Repubblica non parlarsi più, avvolti in una crisi politica tanto interminabile quanto irresponsabile, con il Paese che precipita nell’abisso della crisi finanziaria, morale e di sicurezza, sembra conoscere un momento di resipiscenza da parte del Presidente della Repubblica, maronita, dopo che il papa ha ricevuto in Vaticano il premier incaricato, il sunnita Hariri. È così? Nessuno può dire che non si risolva in un nuovo fallimento, ma colpisce che dove ha fallito Macron si dica che il filo possa riprendersi dopo un viaggio in Vaticano. Putin dovrebbe accettare che non sono le armate del papa a determinare questa attenzione, ma la credibilità. Quando l’acqua si avvicina alla gola se ci si vuole salvare c’è bisogno di un soccorso credibile a tutti, non solo ai propri.

Saranno solo accenni, piccoli spifferi più che indicazioni, ma anche il viaggio a Baghdad del capo della diplomazia iraniana, Zarif, dice qualcosa. Non è andato a bussare alla porta del patriarca caldeo Sako, divenuto a tutti gli effetti il proconsole del papa della fratellanza dopo il recente viaggio in Iraq? Zarif, come riporta Agensir, ha addirittura lodato l’incontro del papa con l’ayatollah al Sistani, fumo negli occhi per gli estremisti che infatti lui ha definito così: un incontro prezioso “nell’instaurare il dialogo tra le religioni al servizio dell’umanità e nello smantellare il pensiero estremista”. Non sono salamelecchi, soprattutto se si tiene conto che in queste ore Zarif è nel mirino dei pasdaran.

Ma Francesco non vuole sostituire l’Onu, piuttosto il pellegrinaggio di leader alla ricerca di soluzioni politiche e non militari nei palazzi apostolici conferma l’urgenza di una efficace riforma dell’Onu che proprio lui, l’autorità morale riconosciuta dal mondo, ha definito urgente nel suo messaggio al Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale.



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