Un report del Soufan Center di New York svela: Russia e Cina soffiano e alimentano la propaganda social del complotto QAnon. Arije Antinori, professore di Criminologia e Sociologia della Devianza alla Sapienza di Roma, spiega la strategia di Mosca e Pechino. E cosa rischia l’Italia se non controlla la nuova rabbia sociale
C’è anche lo zampino di Russia e Cina dietro il fenomeno QAnon in America. Un nuovo report del Soufan Center, centro di ricerca sulla sicurezza nazionale a New York, squarcia un velo sulla teoria complottista divenuta oggi “una minaccia terroristica”. Ci sono anche attori “esterni” a soffiare sul fuoco. Su 166.820 post di Facebook legati a QAnon analizzati fra il gennaio 2020 e la fine di febbraio 2021, un quinto è stato originato al di fuori degli Stati Uniti. Di questi, quasi la metà, il 44% da parte di IP in Russia.
Ma tra gennaio e febbraio di quest’anno il trend si è invertito: “Il 58% di questi contenuti è stato originato in Cina”. Perché Mosca e Pechino soffiano sui carboni ardenti del complottismo sovversivo negli Stati Uniti? E qual è la lezione da cogliere per un’Italia alle prese con una rabbia sociale crescente e arrivata al limite? Lo abbiamo chiesto ad Arije Antinori, professore di Criminologia e Sociologia della Devianza alla Sapienza di Roma.
Professore, perché Russia e Cina cavalcano QAnon?
Per rispondere devo fare un passo indietro. Un anno fa, negli Stati Uniti, la Cina è diventata target di una campagna propagandistica sulla pandemia. Ricordiamo tutti espressioni, prese in prestito da Donald Trump, come “kung-flu” o “chinese-flu”, o ancora la teoria del laboratorio cinese. Un’escalation che ha favorito una serie di reazioni, non solo verbali, contro la comunità asiatica.
Quindi?
Quindi arriviamo alla corsa elettorale. E alle accuse a Joe Biden, rilanciate dall’infosfera dei “patriots” trumpiani, di favorire una campagna di conquista cinese degli Stati Uniti. A dicembre, un mese dopo le elezioni, un’intervista dell’ex consigliere alla Sicurezza Micheal Flynn, da sempre sostenitore dell’hybrid warfare memetico, sostiene che Trump dovrebbe chiedere alle forze armate di sovvertire il risultato elettorale. Un’uscita che rimbalza su twitter con l’hashtag #crosstheRubicon (attraversa il Rubicone, ndr). È la codificazione, nella retorica QAnon, della strategia politico-militare rivolta a due nemici. Uno interno, il Deep State. L’altro esterno…
La Cina. Perché viene presa di mira?
C’è un episodio significativo. Una puntata del podcast cospirazionista “Hal Turner Radio Show” sulle scosse sismiche nel Maine del 9 dicembre. Non sono dovute a un terremoto, dice lo speaker, ma a un bombardamento dell’aviazione americana contro un esercito nascosto di 50.000 soldati cinesi. Su Twitter e Facebook gli account legati a QAnon iniziano a diffondere la notizia, “siamo alla vigilia di una Terza Guerra Mondiale”?
Dunque la Cina è vittima della cospirazione. Cosa guadagna dalla sua diffusione?
La polarizzazione del sistema politico americano, la sovversione delle istituzioni, la frattura della fiducia nel governo e nelle autorità. In poche parole: la messa in discussione della stessa architettura del sistema politico americano. Per questo ha deciso di weaponizzare la campagna cospirazionistica.
Come, concretamente?
Il report Sufan apre uno spaccato su Facebook. Come sappiamo, in Cina il social network è off limits. Lo è per gli utenti semplici, ma chi vuole può operare sulla piattaforma dall’esterno. È successo in questo caso, con la traduzione in cinese e il rimbalzo di migliaia di post dell’infosfera QAnon. La Cina si è accorta che la narrazione complottista ha coinvolto anche la politica estera americana agitando una minaccia militare sul territorio statunitense. E ne ha colto il potenziale in termini di disruption del dibattito politico.
Anche la Russia, svela il report, ha usato la campagna QAnon. Ha gli stessi mezzi e le stesse capacità della Cina?
La Russia ha un’esperienza più consolidata, ha teorizzato per prima la guerra ibrida. Fa leva su una serie di hacker centralizzati che fanno capo a strutture informative delle agenzie dei Servizi. La Cina, però, ha un vantaggio competitivo nella guerra informativa. Dal 2010, con la ristrutturazione del comparto cyber dell’esercito, ha dichiarato apertamente un nuovo corso strategico. E ora è in grado di organizzare campagne di disinformazione di medio-lungo termine, con un’ampiezza d’onda che supera di gran lunga quelle russe.
Veniamo all’Italia. Anche qui il governo è alle prese con una preoccupante ondata di risentimento sociale che più volte è sfociato in episodi di violenza. C’è il rischio, come con QAnon, di una regia estera?
Ovviamente non si può importare tout court un fenomeno da un continente all’altro. Il cospirazionismo americano, e in particolare quello di QAnon, si basa su una matrice religiosa forte che qui non esiste. I movimenti in Italia da un lato sono collettori politici del dissenso dal basso, dall’altro possono costituire punti di ancoraggio per chi ha una capacità misinformativa.
Come ci si può difendere dalle infiltrazioni?
Il governo italiano si sta muovendo sul piano istituzionale. La cybersecurity, la protezione delle infrastrutture critiche sono sacrosante. Ma c’è un’infrastruttura ancora più vulnerabile, quella umana, che va difesa con altri mezzi. A partire dalla formazione e dalla cultura.
Tornando a Russia e Cina. Chi fra le due secondo lei trae più vantaggio dalla rabbia sociale italiana?
La Russia. Non solo per la sua vicinanza, ma per una più generale tensione presente oggi fra il fronte europeo e della Nato e quello russo che è evidente nella guerra di intelligence e nell’escalation militare nei Balcani e in Ucraina. Indebolire un Paese europeo con una proiezione nel Mediterraneo e una capacità di influenza dell’Alleanza atlantica è ancora un obiettivo prioritario.