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Moratorie in bilico, effetto rebound su banche e Pmi?

Alcune considerazioni sui possibili contraccolpi che potrebbe subire il nostro sistema economico-finanziario qualora, per un qualsiasi motivo, si decidesse di abbassare lo scudo offerto dalle vecchie e nuove misure di emergenza prima della cessazione dell’allarme economico-sanitario alle Piccole e medie imprese

Già da tempo Abi, Confindustria, sindacato Fabi e le altre Associazioni di imprese (Assifact ecc.) sono scese massicciamente in campo per  affermare l’assoluta necessità di non sospendere  le misure di emergenza a sostegno delle imprese  prima che la ripresa sia divenuta solida e sostenibile. Per altro, come invocato di recente dalla stessa Lagarde. In particolare, il faro delle Associazioni è stato puntato sulla necessità di allungare la durata dei prestiti concessi alle aziende da 6 a 15 anni e sul parallelo allungamento delle garanzie statali concesse dallo Stato. Ma, soprattutto, sulla necessità di rinnovare le moratorie già concesse alle imprese e di riaprire i termini per nuove richieste. Da evidenziare, a questo proposito, che ben il 60% di queste sospensioni scadrà entro giugno prossimo. E, infatti, verosimilmente, il prossimo decreto del governo sarà imperniato proprio sul sostegno al mondo imprenditoriale, almeno sino a fine anno. Tuttavia, poiché durante una pestilenza grandi certezze non ci sono, potrebbe essere utile fare alcune considerazioni sui contraccolpi che subirebbe il nostro sistema economico-finanziario qualora, per un qualsiasi motivo, si decidesse di abbassare lo scudo offerto dalle vecchie e nuove misure di emergenza prima della cessazione dell’allarme economico-sanitario.

Prima considerazione: il mancato rinnovo delle moratorie o il mancato allungamento della durata dei prestiti concessi alle imprese genererebbe un pericoloso “effetto rebound” simile a quello che si manifesta quando, sospendendo bruscamente l’assunzione di un farmaco per la pressione, quest’ultima si impenna a livelli da ictus. Infatti, l’azienda si troverebbe all’improvviso ad affrontare, da una parte, flussi di cassa in entrata falcidiati dai lockdown e dalle misure di contenimento sanitarie. Dall’altra, flussi in uscita appesantiti dall’ammortamento troppo rapido dei prestiti ed accelerati a causa dell’ipotizzata premorienza delle moratorie. Oltretutto, questo effetto rebound sui flussi di cassa si ripercuoterebbe trasversalmente sui diversi settori e sulle diverse tipologie di imprese finendo per coinvolgere l’intera domanda aggregata con conseguenze non facilmente stimabili.

Seconda considerazione: l’onda d’urto generata dall’effetto rebound, tenderebbe poi a propagarsi dal sistema imprese al sistema bancario danneggiando in molti casi il delicato rapporto banca – impresa. Infatti, con le nuove normative di vigilanza europee entrate in vigore nella notte di San Silvestro, le banche devono attenersi a criteri molto più rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la classificazione delle aziende in difficoltà nell’ambito del “credito deteriorato” (Npl – Non Performing Loans). Basterà uno sconfinamento continuativo dell’impresa per oltre 90 giorni di importo superiore alla soglia di materialità (1% del totale delle esposizioni dell’azienda nei confronti della banca) perché l’azienda venga catturata dalla vischiosa ragnatela del credito deteriorato. Le conseguenze per l’azienda consistono, ovviamente, nella difficoltà di mantenere l’accesso al credito, nel peggioramento del rating, nonché nell’irrigidimento, in un momento delicatissimo, del rapporto con la banca. Il tutto accelerato in Italia dal dominio della regola del 90/60/90 che ci ricorda che il 90 % delle nostre imprese sono piccole imprese dalle spalle strette, il 60% di queste ha un rating non eccelso (B; BB; BBB o equivalenti) e che il 90% di queste Pmi ha la banca come fonte primaria o unica di sostentamento finanziario.

Terza considerazione: il descritto effetto rebound non solo si propaga tra i sistemi, ma genera anche un pericolosissimo circolo vizioso. Infatti, sulle posizioni classificate in credito deteriorato, la banca è costretta ad aumentare gli accantonamenti a conto economico a fronte della perdita attesa. Ad esempio, una posizione entrata in credito deteriorato a causa delle normative di S. Silvestro, qualora non sia assistita da garanzie reali, dovrà essere coperta al 100% da accantonamenti a conto economico da parte della banca entro 3 anni (Calendar Provisioning).

Il punto è che questo meccanismo tende a limitare, come ampiamente dimostrato nella precedente crisi, la possibilità per il sistema bancario di supportare il sistema imprenditoriale durante una crisi sistemica. Più in particolare, il rischio è che la banca, a causa delle più incisive normative di vigilanza, possa incontrare maggiori difficoltà a supportare anche quelle imprese che, ancorché non ricomprese tra gli Npl, evidenzino crescenti anomalie (“credito anomalo”).

Il problema è che, se anche questa fascia di aziende “in bilico” dovesse scivolare nella ragnatela del credito deteriorato, si attiverebbe quel circolo vizioso che, generato come visto dal nefasto effetto rebound sulle imprese, si chiuderebbe impedendo alle banche di supportare il sistema imprenditoriale stesso. Ovviamente la conseguenza ultima di questo insano meccanismo sarebbe un aumento delle aziende ricoverate in “terapia intensiva”, che è esattamente ciò che andrebbe evitato ad ogni costo.


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