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Il peso cruciale delle riforme nel Pnrr del governo Draghi

Un limite fondamentale della prima e della seconda bozza di Recovery Plan presentata dal governo Conte, oltre alle carenze in tema di piani di intervento e di investimenti, era la pressoché totale assenza al suo interno di progetti di riforme. Ora il premier Mario Draghi mostra nel testo del Pnrr che il 30 aprile sarà presentato a Bruxelles, una forte attenzione sul punto, su cui sono in corso intensi lavori. Il commento di Luigi Tivelli

Mentre dopo la presentazione alla delegazione dei partiti e delle forze sociali il Pnrr si appresta ad essere presentato al Parlamento in una versione profondamente mutata e migliorata rispetto all’ultima versione del Governo Conte, emerge un paradosso che sin qui non è stato notato.

Un limite fondamentale della prima bozza di Pnrr presentata dal Governo Conte, oltre alle carenze in tema di piani di intervento e di investimenti, era la pressoché totale assenza al suo interno di progetti di riforme. Anche la seconda versione, del febbraio scorso, che pur recava dei miglioramenti, era molto labile e conteneva pochi cenni da cui non emergevano linee chiare in materia di riforme, mentre secondo le direttive di Bruxelles il Pnrr dovrebbe essere un intreccio tra piani di intervento, progetti di investimento e progetti riformatori.

Il paradosso è che proprio il premier Giuseppe Conte, che è un professore di Diritto civile, avrebbe dovuto essere attento alle componente delle riforme, a cominciare ad esempio da quella della giustizia, non meno che alle altre componenti del piano. Ora, il premier Mario Draghi, che invece è un fior di economista, mostra nel testo del Pnrr che il 30 aprile sarà presentato a Bruxelles, una forte attenzione e concentrazione proprio sul punto delle riforme, su cui sono in corso intensi lavori anche in questi giorni. Ma forse si tratta solo in parte di un paradosso. Proprio perché è un fior di economista, il professor Draghi ha piena consapevolezza che proprio dai ritardi e dall’atavica assenza di alcune riforme, come ad esempio quella della Pubblica amministrazione, della giustizia civile o della concorrenza, deriva il gap strutturale di competitività tra l’Italia e gli altri Paesi europei. E perché il Pnrr sia in grado di contribuire davvero a recuperare e finalmente “liberare” la crescita del Pil bisogna pigiare la leva su riforme opportunamente impostate e implementate.

È così che, con la sovrintendenza del Presidente del Consiglio, tra palazzo Chigi e i ministeri ferve l’attività di ministri e di gruppi di lavoro o per l’implementazione diretta di alcune prioritarie riforme nel Pnrr o per l’accompagnamento di riforme destinate ad entrare in vigore nei mesi successivi. Sono previsti ad esempio per maggio uno o più decreti cui si sta lavorando alacremente a Palazzo Chigi in tema di semplificazioni, fondamentali per eliminare lacci e lacciuoli e favorire la crescita, che saranno certamente più appropriati ed operativi del confuso e dilettantesco decreto semplificazioni fatto di una matassa inestricabile e spesso inapplicabile di norme varato a suo tempo dal governo giallorosso Conte. È così che dopo la trasmissione di un corposo documento da parte dell’autorità per la concorrenza e per il mercato si sta operando.

Sempre a Palazzo Chigi c’è poi un gruppo di lavoro col progetto di inserire una normativa per favorire la concorrenza antimonopolistica nello stesso Pnrr, che in tal modo durerebbe per sei anni e costringerebbe i governi successivi a proseguire nell’azione per favorire la concorrenza dopo l’eccesso di irrigidimenti e di statalismi generato con le norme di emergenza nell’ultimo anno.

È così che il ministro Brunetta già aveva presentato nelle scorse settimane il suo contributo al Pnrr per la parte che riguarda la riforma della Pubblica amministrazione ed ha già avviato il processo di assunzione selettiva di giovani con professionalità nuove, appropriate ed interessanti nella pubblica amministrazione.

È così che con molta serietà la ministra della Giustizia Cartabia ha assegnato tempi stretti a gruppi di lavoro per la formulazione di progetti sul codice delle crisi di impresa (ad esempio procedure fallimentari), sulla riforma della giustizia civile e sulla giustizia tributaria.

L’elenco potrebbe proseguire, ma non vorrei tediare il lettore. Se si pensa che questi interventi riformatori si intrecciano con interventi significativi in materia ad esempio di investimenti per opere pubbliche come quelli molto adeguatamente predisposti dal ministro delle infrastrutture Giovannini, utilizzando le figure dei commissari, indubbiamente il contributo alla crescita del Pnrr sarà non poco significativo. Una crescita però, come ha intuito subito il presidente Draghi che, senza riforme, resterebbe fuori portata.

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