Il governo valuta se creare una commissione Via (valutazione impatto ambientale) ad hoc, in modo da gestire in modo “accelerato” i progetti del Recovery Fund. Ma una mossa simile avrebbe tre conseguenze nefaste. E invece di accorciare i tempi, potrebbe raddoppiarli
Si rischia l’effetto “freno a mano” sui progetti legati al Recovery Plan? Il premier Mario Draghi ha più volte detto che la sfida del Recovery non si gioca solo sui soldi (191,5 miliardi euro più altri 30 del fondo complementare), ma sulle riforme. Dunque nuove norme e nuove procedure serviranno ad impedire che progetti siano prigonieri delle infinite maglie burocratiche italiche. Ma per le opere in questione il Piano prevede una speciale Valutazione di impatto ambientale (Via) statale per tagliare i tempi, che passa però attraverso la creazione di una nuova e parallela Commissione che svolga le valutazioni con modalità accelerate. Anziché assistere ad un potenziamento, si avrebbe un effetto contrario, con due entità dotate di meno mezzi.
VIA AL QUADRATO
Creare una commissione nuova porterebbe in grembo una serie di inconvenienti evidenti e prevedibili, almeno tre.
In primis il rischio di una difformità delle decisioni a parità di impianto o di infrastruttura che va in valutazione. Le due commissioni infatti sarebbero composte da persone diverse, passaggio che di per sé sarebbe già un probabile moltiplicatore di decisioni diverse sullo stesso progetto, con il rischio di frequenti ricorsi al Tar da parte di chi dovesse ottenere un risultato sfavorevole a parità di progetto. Sarebbe questo un modo sicuro per paralizzare non soltanto gli investimenti e le opere in seno alla “vecchia” VIA, ma anche fatalmente per travolgere quelli nel Pnrr.
In secondo luogo si porrebbe il problema di individuare nuovi commissari che compongano la nuova commissione. Il Ministero dell’Ambiente per valutare i membri della prima VIA ha dovuto scegliere 40 tra 1200 curricula pervenuti tramite la call pubblica: la procedura è durata un anno. Per cui delle due l’una: o proprio per definire i componenti della nuova commissione andrebbe cassato 1 anno dai 5 previsti nel Pnrr (e quindi per portare a termine i progetti del Recovery resteranno solo 4 anni) oppure bisognerà ricorrere alle liste degli esclusi. In questo caso si aprirebbe un altro problema: se i 40 in forza alla vecchia VIA sono stati individuati tra i 1200 come i migliori, pescando dallo stesso elenco si potrebbe creare il paradosso che per opere certamente più rilevanti non siano scelti i migliori in assoluto, ma le seconde o le terze file.
PECUNIA
Infine la terza criticità: la direzione generale a cui la commissione VIA si appoggia è già sottodimensionata oggi. Se su quella direttrice di marcia impattasse una seconda commissione VIA, verrebbero divise per due le già modeste risorse disponibili. Anziché assistere ad un potenziamento, si avrebbe un effetto contrario, con due entità dotate di meno mezzi. La sensazione è che ci sia un vizio di prospettiva sulla questione: l’attenzione che si sta riversando sulla creazione di questa seconda commissione innesca altri ragionamenti.
Sul punto è stato presentato alla Presidenza del Consiglio e ai ministri Brunetta e Cingolani un pacchetto di proposte chirurgiche e selettive, nella consapevolezza che le semplificazioni ambientali sono un bene di per sé, ma è altrettanto bene che seguano un percorso dato da un decreto legge a parte, portato all’esame delle quattro Commissioni parlamentari (industria, ambiente) al momento impegnate sul dossier.
Inoltre la questione è un deja-vu perché nell’estate del 2020 un decreto legge costituì de facto una seconda commissione VIA incaricata di seguire il Pniec, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030. Ma in un anno non si è mai riunita. Per cui l’operazione è già stata tentata ed è già fallita. Una norma transitoria, inoltre, aveva previsto che fin quando non fosse stata operativa questa seconda commissione, gli interventi del Pniec sarebbero stati esaminati dalla vecchia VIA. Per cui è già nelle cose la prova provata dell’inutilità della seconda commissione, visto che la prima è in grado di fare anche altro. Occorrerebbero, semmai, più commissari e non una seconda commissione, partendo da quella logica fluida secondo cui non vanno moltiplicati i centri decisionali, ma le frecce all’arco che dovranno centrare gli obiettivi.
Ecco il vero nocciolo della questione, che al contempo è la vera scommessa del Recovery Plan targato Draghi: non appesantire gli assetti organizzativi, ma sciogliere l’iter procedurale.
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