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Vi spiego il nuovo programma spaziale dell’Ue. Parla Salini (FI)

Conversazione con Massimiliano Salini, relatore all’Europarlamento per il programma spaziale dell’Ue che ieri ha concluso il suo iter, con una dotazione da 14,8 miliardi fino al 2027. Ridefinisce i rapporti con l’Esa e punta a lanciare nel Vecchio continente la New Space Economy. Il Pnrr italiano? “Lo Spazio deve essere un traino per il rilancio dell’economia”

Ora la Space economy europea può davvero partire. Ne è convinto Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia e relatore del programma spaziale dell’Ue a Strasburgo, che Formiche.net ha raggiunto in seguito alla conclusione dell’iter. Dopo il voto favorevole di lunedì in Commissione Itre (69 voti a favore, un contrario e cinque astenuti), ieri la plenaria del Parlamento europeo ha segnato il passaggio finale per il programma spaziale dell’Unione per il periodo 2021-2027. Vale 14,8 miliardi di euro, conferma i programmi flagship Copernicus e Galileo, ne aggiunge altri due per le comunicazioni governative (GovSatCom) e le sorveglianza spaziale (Ssa) e punta a lanciare anche nel Vecchio continente la New Space Economy. L’accresciuta ambizione dell’Ue determina poi il cambio di governance e un nuovo rapporto con l’Esa, che sta approcciando la questione attraverso l’Agenda 2025 lanciata dal neo direttore generale Josep Aschbacher.

Onorevole Salini, come commenta la conclusione dell’iter per il Programma spaziale europeo?

Sono stati tre anni di duro lavoro, e lo dico non per autocompiacimento, quanto per l’importanza del programma e per ciò che è accaduto del frattempo: la Brexit e la pandemia da Covid-19. Ciò ha reso sfidanti e complicate tutte le partite legate ai vari ambiti sui quali si articola la struttura del bilancio pluriennale, compreso il programma spaziale.

Sfida vinta?

Direi di sì. La sfida da vincere era dotare l’Unione di un’unica strategia per lo Spazio, un corpo compatto di norme che regolassero in maniera unitaria i mille rivoli su cui si dipana, legati a logiche politiche, industriali e di sicurezza dei singoli Paesi membri, con l’aggiunta di complicazioni giuridico-economiche tra le varie agenzie coinvolte. Insomma, bisognava mettere ordine, e noi l’abbiamo fatto seguendo un criterio preciso.

Quale?

Che il programma fosse veramente europeo, e cioè che la governance avesse come soggetto centrale l’Europa e le sue articolazioni. I principali soggetti coinvolti sono la Commissione europea e le istituzioni dell’Ue, l’agenzia Gsa, che diventa Euspa, e poi l’Esa. Quest’ultima rappresenta una struttura storica di sostegno al programma spaziale europeo, ma non è un’istituzione europea. È un’organizzazione internazionale che conta anche Paesi esterni all’Ue. Era dunque necessario stabilire chi fa cosa, e dunque inserire le logiche dell’Esa all’interno della governance delle istituzioni europee. Lo abbiamo fatto.

In che modo il Covid si è fatto sentire sui negoziati?

La pandemia ha costretto a rivedere diversi budget all’interno del bilancio pluriennale. Ognuno ha fatto un discreto sforzo in tal senso, e il programma spaziale è passato da una dotazione prevista di 16 miliardi a quasi 15, risentendo in termini percentuali molto di meno rispetto ad altre voci del bilancio dell’Ue.

La Difesa, ad esempio, è passata da 13 miliardi a 7,9. Perché lo Spazio secondo lei è riuscito a contenere la riduzione di bilancio?

Prima di tutto è importante comprendere che il budget di questi programmi non è cristallizzato su risorse definite nelle specifiche voci del bilancio pluriennale. Ci sono altri ambiti da cui reperire risorse; per la Difesa, ad esempio, dalla Connecting Europe Facility per la mobilità. Nel caso dello Spazio c’è la possibilità di ricorrere a Horizon Europe per tutti quei programmi di innovazione e ricerca con importanti ricadute. Poi, c’è un fatto evidente da tenere in considerazione: l’Europa ha una strategia spaziale unitaria, ma non una strategia unitaria per la Difesa. In questo secondo campo registra una collaborazione crescente, ma non una visione strategica unica e comune.

Nel programma spaziale, oltre alla conferma per i grandi programmi europei (Galileo e Copernicus, con l’aggiunta di GovSatCome e Ssa), c’è la spinta alla nuova economia dello Spazio. In che modo?

Il programma sposta dall’attenzione dall’upstream al downstream. Dopo una lunga fase di presidio a monte degli investimenti legati alla costruzione di infrastrutture spaziali, oggi abbiamo nuovi programmi (GovSatCom e Ssa) e soprattutto la sfida del downstream. Significa portare a valle gli effetti positivi dello Spazio, l’enorme capacità di raccolta di dati affinché ciò che abbiamo lanciato (e che continuiamo a lanciare) venga tradotto in economia reale, in miglioramenti per la sicurezza, per l’agricoltura di precisione, per il controllo dei flussi migratori, per la verifica di anidride carbonica in atmosfera e così via. La seconda fase è questa.

Sul tema il Vecchio continente sembra indietro rispetto agli Stati Uniti. Come recuperare il gap?

Finora abbiamo rincorso Stati Uniti e Cina per un difetto di auto-coscienza. All’Europa non manca nulla. Dalle grandi industrie alle piccole e medie imprese che popolano le varie filiere, possiamo vincere la partita dell’economia digitale, compresa quella legata allo Spazio. Abbiamo tutto, competenze e capacità, e ora anche le risorse. Il problema è concepirsi come un corpo unico, che fa strategia in modo unitario. In tal senso, anche seguendo l’impulso della principale azienda italiana nel campo aerospaziale, abbiamo chiesto con forza alla Commissione europea di dar vita a una cabina di regia per il downstream dove siedano non solo le istituzioni, ma anche le industrie impegnate nell’utilizzo di dati satellitari. Abbiamo lavorato molto sul concetto di autonomia strategica europea affinché le componenti più sensibili dei grandi programmi europei fossero realizzati in via prioritaria dall’industria europea. Ma i nostri utenti sono in tutto il mondo (Galileo ha superato, ad esempio, il miliardo di utenti). A maggior ragione ci vuole una cabina di regia, che comprenda imprese e startup impegnate in questi campi.

Torniamo al nuovo rapporto tra Ue ed Esa. Diversi osservatori hanno notato che il passaggio di governance all’Unione rischia di far venir meno la regola dell’equo ritorno geografico (che vige in Esa) per cui gli investimenti di uno Stato devono tornare come contratti alla sua industria nazionale, con la conseguenza di lasciar spazio a una competizione spietata. C’è questo rischio?

Abbiamo introdotto alcuni accorgimenti per far in modo che i Paesi siano più collaborativi e meno escludenti. Ritengo che l’ultima gara di Galileo (in cui l’Italia è riuscita a rientrare dopo l’iniziale esclusione) dimostri la validità di questo approccio. Abbiamo creato un presidio sul procurement che mette tutti i Paesi nelle condizioni di concorrere e costringe l’Esa a rispettare le regole dell’Ue. Ricordo che il 30% del budget dell’Esa è finanziato dall’Unione. Capovolgerei quindi la domanda: come si può essere sicuri di un ritorno reale sui Paesi membri?

Ecco, come lo si può essere?

Stabilendo, in primis, che per le parti più sensibili dei programmi spaziali si utilizzino tecnologie realizzate dalle industrie europee. Non è protezionismo, ma valorizzazione delle competenze che l’Europa possiede. Non abbiamo il problema di proteggerci, ma quello di sfruttare fino in fondo le nostre capacità. Per fare un esempio, non può esistere (come è accaduto) che un Paese dell’Ue lanci satelliti in orbita senza ricorrere a lanciatori europei. Poi, il ritorno sul singolo Paese arriva se all’interno dell’Europa c’è una competizione di questo genere, se l’Europa ragiona come uno Stato unico con un’infrastruttura unica. L’attenzione è dunque spostata sulla natura europea del programma, e sono certo che ciò darà benefici a tutti i Paesi membri.

Un’ultima battuta sul Pnrr italiano, al centro del dibattito politico. Lo Spazio può essere traino di rilancio per l’economia nazionale?

Non solo può, ma deve esserlo. La Francia, ad esempio, ha deciso che lo sia, e l’Italia non può restare indietro. Il settore vanta tecnologie all’avanguardia e competenze insostituibili. L’Europa ha bisogno di noi. Più imponenti saranno i progetti spaziali nel Pnrr, più saremo in grado di giocare la partita europea da protagonisti. Credo che nel dibattito sul Recovery plan il grosso nemico sia il contenimento del danno. Ecco, dobbiamo evitare di procedere pensando di mettere cerotti per contenere i danni. Il rilancio si fa puntando sui settori trainanti, sui settori su cui siamo meglio degli altri, e lo Spazio è uno di questi.

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