Il presidente della Commissione Esteri della Camera: fra Russia e Ucraina tensione alle stelle, l’integrità territoriale di Kiev non può essere toccata ma serve una soluzione diplomatica. Draghi? Giusto l’approccio pragmatico verso Mosca. Sputnik? Solo se approvato dall’Ema
Bastone e carota, “in diplomazia funziona così”. Piero Fassino, presidente della Commissione Esteri della Camera, deputato e volto storico del Pd, osserva preoccupato l’escalation militare russa al confine con l’Ucraina. Questo venerdì, in un’intervista a Repubblica, il presidente Vladimir Zelensky ha chiesto aiuto anche all’Italia di Mario Draghi.
Fassino, cosa si può fare?
Riattivare il formato Normandia patrocinato da Merkel e Macron. L’integrità territoriale dell’Ucraina non può essere messa in discussione ma bisogna trovare una soluzione politica che può essere fondata solo su un negoziato tra le parti.
Quale?
L’idea di una separazione o scissione dei territori dell’Ucraina orientale non è accettabile, né per l’Ue né per l’Italia. I confini definiti dalla comunità internazionale devono essere rispettati. Dentro l’attuale sovranità ucraina ci possono essere forme di autonomia, anche larga, riconosciute dal governo ucraino. Come in Tirolo in Italia, o nei Paesi Baschi in Spagna.
Da sette anni c’è una regione, la Crimea, occupata militarmente.
Questa è la parte più delicata della vicenda. La Russia rivendica la storica appartenenza della Crimea alla sua sfera di influenza, gli ucraini il loro accesso al Mar Nero. Solo un negoziato può individuare una via d’uscita.
Mosca sta muovendo migliaia di militari al confine ucraino. L’Ue e l’Italia non dovrebbero condannare più chiaramente l’escalation?
Più che condannare la politica ha il dovere di impedire conflitti e costruire soluzioni. E in questo casoè necessario inviare un warning a Mosca: fermatevi, non accetteremo che si usi la forza militare in alcun modo. Questo lo si deve fare e con fermezza.
L’Ucraina chiede di entrare nella Nato. Ci sono gli estremi?
Anche qui, serve un approccio realista, che tenga conto della storia. La Russia ha da sempre una ambizione: essere considerata una potenza. Putin ha dichiarato più volte di ispirarsi a Pietro il grande. Ma anche una sindrome: l’accerchiamento. Ogni volta che la Nato si è spinta vicino, ha reagito duramente. Il nostro approccio deve essere duplice: non subire veti e al tempo stesso liberare Mosca dalla paura di essere accerchiata.
Come se ne esce?
Con la diplomazia. Quando l’Ue e la Nato decisero di allargarsi all’Europa centrale e ai baltici, la Russia mostro da subito la sua ostilità. Non accettammo quel veto, ma all’adesione dei Paesi dell’Est a Nato e Ue affiancammo il primo accordo di partenariato fra Ue e Russia. A dimostrazione che l’allargamento delle istituzioni euro-atlantiche non era concepito per minacciare la Russia.
Il governo Draghi ha mostrato un approccio pragmatico. Ma ha anche tuonato contro il caso dello spionaggio russo a Roma. È la giusta direzione?
Ai casi di spionaggio si reagisce in un solo modo: espellendo chi lo organizza. Non è accettabile per nessun Paese subire un’operazione di spionaggio ai danni delle forze armate nazionali e dei propri alleati.
Le sanzioni americane segnalano una nuova escalation nei rapporti. È finito il tempo dei pontieri?
Biden ha imposto le sanzioni, è vero. Ma ha anche proposto a Putin un incontro per riprendere un confronto sui nodi aperti. In diplomazia il bastone e la carota convivono sempre. Le sanzioni sono uno strumento, mai il fine che è la costruzione di soluzioni e accordi.
Chiudiamo sui vaccini. In Italia si è aperto un dibattito sul russo Sputnik V. Anche il Pd sembra diviso.
Ho un approccio molto semplice: sto dalla parte della scienza. Se il vaccino Sputnik è approvato dall’Ema, non vedo alcun problema. Se così non fosse, in nome della tutela della salute dei cittadini, non bisognerebbe distribuirlo.
Quindi non esiste una geopolitica dei vaccini?
Esiste eccome. E l’Ue sembra non essersene accorta. Altrimenti non si spiega perché da una parte si prospetta ai Paesi Balcanici la loro integrazione nell’Unione Europea e però nello stesso tempo non li si include nello spazio europeo di distribuzione dei vaccini. Così in Serbia o in Montenegro arrivano carichi di vaccini russi o cinesi. Non c’è da sorprendersi poi se i vuoti geopolitici dell’Europa vengono riempiti da altri.